Ed eccoci a Madrid per la zampata finale. Re Leone Cipollini, caduto e spelacchiato stamattina durante una granfondo, è pronto.
Mario, iniziamo dalla crono: tutto secondo pronostico?
«Si, mi pare non ci sia nulla di particolare da evidenziare. Kung è stato il più forte ma c’è da dire che non facendo classifica era più riposato di Roglic. Però sono contento che finalmente abbia vinto in un grande giro. Piuttosto mi pare discutibile il primo tratto di percorso. Capisco bene le esigenze dello sponsor, però i primi duecento metri erano oltre la logica».
Cattaneo terzo è un bel segnale per l’Italia?
«È andato forte tutta la Vuelta e il risultato di oggi è la dimostrazione che l’altro giorno la squadra ha sbagliato a fermarlo. Poteva vincere».
Come al solito si sono visti caschi di ogni forma. Cosa ne pensi?
«Bello che sia così. Ogni azienda ha la sua interpretazione dell’aerodinamica, un po’ come succede in Formula 1. Però il casco in sé conta relativamente, quello che conta - ed è molto importante - è l’insieme casco/atleta. I caschi, a mio parere, andrebbero studiati su misura. Lo si fa con i body, non capisco perché non farlo con i caschi che sono molto più importanti».
Alla fine, che Vuelta è stata?
«Io la chiamerei una Vueltina. Non abbiamo visto granché, non c’è stata grande lotta. Una corsa vissuta sull’azione un po’ a sorpresa di O’Connor. I suoi avversari hanno cercato di rosicchiargli tempo poco alla volta ma non l’hanno mai messo in ginocchio. La squadra più forte è stata proprio quella dell’australiano, la Decathlon, e questo la dice lunga sul livello di questa corsa».
Roglic però merita la vittoria.
«È stato il più forte, senza dubbio anche se sono convinto che non fosse al cento per cento. Però vatti a rivedere le tappe del Tour, guarda quella di Plateau de Beille e capisci bene le differenze. Quando ci sono Pogacar, la Uae al top - che qui non s’è vista con Almeida che ha abbandonato e Yates che non era al meglio - Vingegaard, Evenepoel è un altro ciclismo. Ci sono altri numeri, altre potenze. Una differenza enorme».
Cipo ma può essere che anche il percorso abbia influito? Non è stato troppo duro?
«Troppi arrivi in salita e su salite troppo dure fanno si che si creino meno possibilità. I big lasciano che arrivino le fughe per tenersi le energie: Credo che bisognerebbe imporre un limite».
Spiegami bene.
«Nel modo di organizzare le corse vedo arroganza. Si cerca sempre più l’estremo, che spesso diventa esagerato, eccessivo, senza pensare ai corridori, alle loro esigenze e le loro possibilità. Poi succede come sabato, quasi cinquemila metri di dislivello e zero spettacolo perché non ci sono più forze. Non so fino a che punto sia opportuno esagerare così. Secondo me è contrario allo spettacolo».
È stata anche una Vuelta di infiniti trasferimenti. Forse servirebbe un limite anche a questo.
«È una vita che si lotta per questo, ma gli organizzatori devono seguire altri equilibri. Poi, siamo onesti, i bus dei corridori ora valgono gli hotel a cinque stelle. Hanno su tutto, ma tutto davvero. Il recupero gli atleti lo iniziano appena salgono. Pensa che cambiano persino la luce interna tra prima e dopo la tappa. Prima ne mettono una che carica i corridori, dopo una luce più adatta al recupero».