La morte è di certo una entità straniera, e di disturbo al red carpet placcato della società che abitiamo. E risulta poi due, tre volte estranea al milieu pseudocivile, quando a morire sia semmai - come accaduto nei giorni scorsi - un giovane lavoratore di nazionalità indiana, travolto in bicicletta da una automobile, ore serali a fine lavoro, su una fettuccia stretta di asfalto come la Strada Provinciale 104 da Carano alla stazione di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta.
Parliamo di una strada che abbiamo noi visto nascere, sterrata e brecciolino, negli anni ‘50, come la via serena del ritorno a casa in pesante bicicletta dei contadini dalle quotidiane fatiche rurali. E ci ricordiamo quella nonna che allora ci raccomandava «non uscite sulla strada con la bicicletta, e’ pericoloso, ci sono le macchine». E ci chiediamo, senza pretendere risposta a parole che sono già silenzio come le nostre, se esistono nonne al tempo di oggi, ora che quello stradone è diventato una via abilitata al traffico di TIR e Suv e 16 V, che almeno viceversa raccomandino ai loro nipoti «non correte sulla strada con la macchina, e’ pericoloso, ci sono le biciclette».
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