Tra poco più di un mese la Red Bull farà il suo ingresso ufficiale nel ciclismo - con i suoi 60 milioni di euro di investimento - ed il prossimo anno i bilanci del World Tour andranno ancora più in rosso. In rosso di risultati, perché è chiaro che con un team che può disporre di un budget di sessanta milioni di euro, potranno competere al massimo due team, al massimo tre: Uae Emirates, Visma-Lease a Bike e Ineos, che hanno già oggi budget superiori a 40 milioni di euro. Un salto ancora più in alto, che renderà gran parte del movimento World Tour un contorno, formazioni che avranno come unico scopo quello di partecipare, con costi che comunque continueranno ad aggirarsi attorno ai 15/20 milioni di euro.
Il valore dei 18 top team quest’anno sarà di 499 milioni di euro. L’anno scorso i team spendevano 473 milioni, 430 nel 2022, mentre nel 2021 arrivavano a 379 milioni quando però a correre erano in 19, come da fonte Sole 24 Ore. Il budget medio è salito da meno di 20 milioni a 27,7 milioni in poche stagioni. E nella seconda serie, quella Professional, com’è la situazione? Nel 2024 i 17 ProTeam spenderanno qualcosa come 143 milioni, mentre nel 2021 le 19 formazioni costavano soltanto 87 milioni, sempre da fonte Sole 24 Ore. I budget medi sono saliti da 4,6 a 8,4 milioni, ed è inutile che vi dica che i nostri team (Polti Kometa, VF Group Bardiani CSF Faizané e Corratec Vini Fantini) sono largamente sotto non solo agli 8,4, ma ai 4,6. Questo per dire che cosa? Che i nostri team manager, sono in ogni caso degli assoluti virtuosi, che riescono ad allestire formazioni più che competitive con budget veramente limitati. Bravi loro e bravissimi gli sponsor che hanno deciso in ogni caso di investire nel nostro sport, con la speranza che abbiano la possibilità in futuro di allargare la loro sponsorizzazione per provare a ridurre il gap.
Per chiudere questa panoramica fatta di numeri, eccoci ai compensi. Lo stipendio minimo di un ciclista professionista è di 70 mila euro. Il salario medio annuale è di circa 220 mila euro. Il budget del movimento femminile di prima fascia composto da 15 squadre (erano 9 nel 2021) è quadruplicato: da 15 a 57 milioni. Numeri sempre più importanti per un mercato che resta lo stesso: buono ma non buonissimo. Sia per i maschi che per le ragazze siamo vicini al punto di rottura. Con l’arrivo di Red Bull a sorridere saranno certamente alcuni corridori e molti procuratori: ma fino a quando?
IL PUNTO DI PARTENZA. Sicurezza, sicurezza, questa è e sarà la parola d’ordine anche al Giro d’Italia. Come sempre, più di sempre, come è giusto che sia. Tanti si stanno interrogando e adoperando, dall’Uci agli organizzatori, dai corridori ai team manager. È chiaro che qualcosa va fatto, perché l’emergenza sicurezza mi sembra davvero davanti agli occhi di tutti, soprattutto alla luce degli ultimi incidenti che hanno toccato corridori di primissimo livello, come Vingegaard e Evenepoel.
È chiaro che in materia di sicurezza si è tutti uguali, dal più modesto dei gregari al fuoriclasse assoluto. Ma è altrettanto vero che per un team il “capitale umano” esiste e non solo per un aspetto assicurativo. Esiste perché perdere per qualche mese o per una stagione un corridore di prima grandezza è ben più grave che perdere un onesto faticatore del pedale. Ed è per questo che la discussione si sta facendo sempre più accesa e serrata, non da oggi, ma da qualche mese. Non è un caso che sia nato in sordina, senza tanto clamore - e questo non capiamo il perché - un organismo chiamato SafeR (si scrive proprio così): un’associazione che comprende l’AIGCP, l’associazione dei Gruppi Sportivi, il CPA associazione mondiale dei corridori, quella degli organizzatori AIOCC e il sindacato femminile UNIO oltre, chiaramente, all’UCI, la mamma di tutto il movimento. Si parla di sicurezza e si discute della bicicletta, delle ruote, dei freni a disco e dei copertoni tubeless e chi più ne ha più ne metta.
Ognuno dice la sua e probabilmente il problema è un insieme di problemi, dati da tutte queste cose messe assieme e non solo. Per esempio i corridori hanno la loro responsabilità, come ha detto chiaramente il campione del mondo Mathieu Van der Poel, spiegando senza tanti giri di parole che con queste biciclette, sempre più scorrevoli e performanti, bisogna saperci andare. L’età dei ragazzi che passano professionisti è sempre più bassa, c’è meno scuola, meno pratica e questo può incidere, ma una delle cose che mi colpiscono è il gruppo, sempre più folto di corridori, soprattutto di squadre. Si parla tanto di sicurezza e non del fatto che in un Grande Giro sono ben ventidue le squadre impegnate, con otto corridori a testa.
Ventidue formazioni che hanno la loro strategia, ma è sufficiente dire di stare davanti per prendere una determinata salita che succede il finimondo. Forse sarebbe il caso di lavorare su questo aspetto. Che, per quanto mi riguarda, è il punto di partenza di ogni ragionamento.
Editoriale da tuttoBICI di Maggio