Eddy il Grande ha la voce squillante, nel suo italiano sempre fluente. «Sto meglio, sì. Non sono ancora al massimo, ma miglioro. Diciamo che quest'anno non posso correre il Giro d'Italia...». Eddy si chiama Merckx, ha 78 anni quasi 79, ed è il corridore più vincente della storia del ciclismo, dall'irraggiungibile sommità delle 445 vittorie da professionista Tra queste si contano cinque successi nel Giro d'Italia, che da sabato celebra il suo rito con la partenza da Venaria Reale e l’arrivo fissato ai Fori Imperiali, il 26 maggio.
PAURA
Ha appena superato l'ennesima montagna, lui che le spianava in bicicletta, corridore completo come pochi. «Ho avvertito un dolore lancinante, fortissimo, senza preavviso». Era la sera del 26 marzo, Eddy era in casa con la signora Claudine, sposata nel 1967, quando si è sentito male. «Temevamo fosse il cuore, un’altra volta, con mia moglie siamo corsi all'ospedale, al pronto soccorso, e alle tre di notte sono stato operato d'urgenza». Al VUB Health Campus di Jette, periferia Nord di Bruxelles, gli hanno diagnosticato subito una rara forma di torsione dell'intestino, tecnicamente si chiama volvolo. «Paura? Sì, ho avuto paura, ho temuto che per me fosse finita». Invece non era finita, «mi sono risvegliato, anche se di quegli attimi non ricordo nulla, e piano piano mi sono ripreso», e tutti hanno tirato un sospiro di sollievo. Merckx, entità somma nell'immaginario collettivo belga e per chi ama il ciclismo, ha tenuto nascosto il suo ricovero per oltre due settimane, fino a quando è rientrato a casa, a Meise, nel Brabante fiammingo dove vive dal 1980. Solo allora un giornale belga ha scritto che il mito di casa aveva vinto l’ennesima corsa, anche se pare, trapela, che non sia stato mai in pericolo di vita.
Ha cominciato l’ennesima salita, una lunga convalescenza, e dopo un mese ancora niente bici per lui che non ha mai smesso di pedalare: si concede regolari e piacevoli pedalate con i vecchi amici, senza grossi sforzi, sulle piatte strade delle Fiandre. Protesta vagamente burbero: «Ma dobbiamo parlare di me e della mia salute o del Giro d'Italia?». Del Giro, Eddy, e soprattutto del fatto che quest'anno c'è un corridore, Tadej Pogacar, che parte con la missione di vincere appunto il Giro e Tour lo stesso anno, accoppiata impresa riuscita ad appena sette corridori nella storia del ciclismo: Coppi, Anquetil, Merckx appunto, Hinault, Roche, Indurain e Pantani. Eddy ci riuscì tre volte, nessuno come lui, ovviamente: «Io penso che Pogacar ce la possa fare, sì. Ha tutte le caratteristiche per riuscirci». Eppure Roger De Vlaeminck giorni fa ha detto senza girarci attorno che «Pogacar non vale la metà di Merckx...». Eddy non ci sta: «Sono idee di Roger, è sbagliato paragonare corridori ed epoche diverse, non si può, non è giusto», anche se da più parti accostano il fenomeno sloveno proprio al Cannibale, Eddy appunto, per la voglia di vincere sempre, perché ci riesce pure, perché corre le classiche e i grandi giri a tappe come facevano i campioni di una volta, al diavolo la specializzazione. «Pogacar e Van der Poel lo hanno dimostrato, sono i più forti in questo ciclismo, sono ragazzi a cui piace vincere e lo fanno dappertutto».
Proprio come era lui, che non cedeva ai calcoli: «Ai miei tempi c’erano 150 gare l’anno, e si gareggiava ovunque, i corridori di oggi ne fanno sì e no la metà. Come ci riuscivo? La fatica c’era, certo, non si andava in ritiro in montagna, non si faceva niente di particolare. Non staccavo mai, dopo il Giro andavo a correre il Giro di Svizzera, e poi al Tour de France. Come facevo? Beh, forse ero forte...».
QUALITÀ
Era forte eccome, e poi vincere Giro e Tour lo stesso anno è impresa da pochi eletti, non capita dal 1998 di Marco Pantani. «Che qualità si devono avere? È un insieme di fattori, devi essere forte di gambe, di testa, devi stare attento a non cadere, devi saperti gestire». È molto affezionato al Giro e all’Italia, Eddy, sentitamente ricambiato. Lo ha vinto cinque volte, il Giro, «e sono legato soprattutto al primo, quello del 1968, forse proprio perché era la prima volta, e anche per il percorso, con le Tre Cime di Lavaredo». Fu la tappa più dura, che rivelò al mondo la forza di Merckx, allora 22 anni, prima una rimonta furiosa sui fuggitivi che avevano nove minuti di vantaggio, poi un assolo irresistibile, lui che si infila nella maglia rosa e la porta fino alla fine, precedendo di cinque minuti Adorni, suo compagno di squadra. A quel Giro unì poi i successi dal 1970, del 1972, del 1973 e del 1974. «I rivali più impegnativi? Gimondi e lo spagnolo Fuente. Ma ricordo anche la fatica che feci nel 1976», quando chiuse all’ottavo posto, il suo ultimo Giro, anonimo, non da lui. Due anni dopo decise che era ora di scendere dalla bici, appesantito dalla gloria e dagli anni. Sono passate 46 primavere, da quel giorno, e il ciclismo non ha più trovato un altro Merckx, né qualcuno che ci si sia mai avvicinato, «e basta paragoni, su...».
da Il Messaggero