DAVIDE DE PRETTO, UN TALENTO TUTTO DA SCOPRIRE

PROFESSIONISTI | 29/04/2024 | 08:15
di Carlo Malvestio

La Settimana Internazionale Cop­pi&Bar­tali è da anni terreno di caccia ideale per tutti quei corridori che, per un mo­tivo o per l’altro, durante l’anno hanno meno spazio per met­tersi in mostra. Parliamo quindi di corridori esperti che solitamente vediamo in appoggio ai grandi capitani, co­me Koen Bouwman e Diego Ulissi, che hanno chiuso al 1° e al 3° posto in classifica generale vincendo una tappa a te­sta, ma soprattutto di giovani talenti in rampa di lancio, come Marco Brenner, Archie Ryan e Jenno Ber­ckmoes, tutti vincitori di una frazione.
E poi c’è Davide De Pretto, che non ha vinto ma ha convinto, molto, piazzandosi in tutte le tappe e chiudendo al quarto posto in classifica generale. In realtà, il classe 2002 di Piovene Roc­chette, da quest’anno in maglia Jayco AlUla, non aveva bisogno di questa corsa per farsi notare, perché nelle sue prime settimane da professionista era già stato in grado di ritagliarsi i propri spazi, centrando 5 Top 10 (di cui un podio) tra Volta Valenciana, Muscat Classic e Tour of Oman. Un approccio non ba­nale al mondo dei grandi, a maggior ragione se si pensa che lui arrivava da una realtà più “local” come la Zalf Euromobil Fior, e quindi il salto è sta­to maggiore rispetto, per esempio, a un ragazzo cresciuto in una formazione satellite WorldTour.


Davide, in Oman ci avevi detto che avresti provato a centrare la prima vittoria da professionista alla Cop­pi&Bartali. Beh, ci sei andato vicino…
«Eh sì, peccato, mi è mancato qualcosina per poter puntare alla vittoria. Però, dai, è stata una bella settimana, il peggior piazzamento è stato un 6° posto quindi non posso lamentarmi».


Raccontaci questa settimana fatta di at­tac­chi e contrattacchi.
«Il primo giorno a Pesaro risentivo an­cora un po’ della faticaccia della Mi­lano-Sanremo, ma la tappa era breve e semplice quindi mi sono buttato co­munque in volata. Il secondo giorno, a Sogliano al Rubicone, ho cominciato a sentirmi be­ne col passare dei chilometri, nel finale ho se­guito l’attacco di Archie Ryan, ero al limite, ma per un mo­mento ho pensato che sa­remmo sta­ti noi a giocarci la vittoria, invece negli ultimi 50 metri ha rimontato fortissimo Ulissi e mi sono dovuto accontentare del secondo posto. Anche qui, però, non ho nulla da recriminare, ha vinto il più forte. Il resto delle tappe sono state abbastanza simili, non troppo selettive, eravamo sempre una quindicina a giocarci la vittoria e alla fine gli abbuoni hanno fatto la differenza. Nel complesso è stata una corsa abbastanza anarchica, UAE e Visma hanno provato a controllare un po’ di più la corsa, ma è stato un susseguirsi di scatti, controscatti e quant’altro. Per fortuna sono abbastanza bravo a limare, mi sono dovuto muovere quasi sempre da solo, ma me la sono cavata bene. Rim­pianti? Forse la tappa di Bri­sighella, quella che ha vinto Ryan, perché i Vi­sma stavano chiudendo su di lui ma so­no finiti per terra in due (Staune-Mittet e Vader, ndr), Archie ha vinto e io so­no arrivato all’ultima curva troppo in­dietro, chiudendo quinto. Se l’avessi pre­sa davanti, un piazzamento nei pri­mi due era alla portata».

Detto ciò, complimenti per questi primi due mesi da professionista! Ti aspettavi di essere così forte?
«La cosa che più mi sorprende è che sono riuscito a tenere questa condizione per diverso tempo. Le prime corse le ho fatte a metà gennaio, ora siamo a fine marzo, quindi sono già più di due mesi che mi esprimo su questi livelli. Se qualche risultato a inizio stagione potevo anche aspettarmelo, era difficile immaginarsi una tale co­stanza di rendimento. Dopo il Tour of Oman, però, ho acquisito tanta fiducia nei miei mezzi e ora sto cercando di cavalcare l’onda».
E pensare che da U23 avevi fatto pochissime corse a tappe…

«Sì, ma le sto digerendo bene e questo è un altro aspetto positivo. Fin dalla Volta Valenciana mi sono accorto che col passare dei giorni le gambe rispondevano sempre meglio e alla Cop­pi&Bartali ne ho avuto la conferma. Sono partito un po’ affaticato dopo la Milano-Sanremo, ma tappa dopo tappa riuscivo a recuperare alla grande».

Ti sei anche confrontato con le prime cor­se sopra i 200 km.
«Sì esatto, a Laigueglia non me ne so­no nemmeno accorto che erano sopra i 200 km, la corsa è volata via in maniera abbastanza rapida. Alle Strade Bianche son caduto e mi sono ritirato, mentre alla Sanremo sono rimasto sorpreso da me stesso, perché dopo 270 km ero an­cora davanti. Poi sul Poggio l’inesperienza mi ha fatto prendere la salita troppo indietro, e i rilanci dopo i tornanti, in coda, sono sempre più cattivi. Sono saltato proprio in cima al Poggio, ma direi che non è andata male alla fine (ha chiuso 28°, ndr) per essere la prima volta».

Com’è stato affrontare il Poggio a quella velocità?
«Non ti accorgi nemmeno di essere in salita. Tornante, rilancio, tornante, ri­lancio, e sei già in cima a 40 km/h. Pe­rò mi ricordo il boato della gente a fine salita, erano veramente in tanti».

Quanto è diverso approcciare la stagione con una formazione WorldTour rispetto ad una Continental italiana?
«Lo step è stato enorme. Innanzitutto ho aumentato le ore in bicicletta: du­rante il ritiro, in una settimana, ho toccato le 30 ore in sella, che sono davvero molte. Dopodiché ho cominciato a fare molti lavori più specifici sull’intensità, che l’anno scorso non facevo quasi mai, e questo mi ha permesso di arrivare subito pronto alle corse. E poi c’è la palestra, fino alla stagione scorsa l’abbandonavo a gennaio, mentre ora quan­do non corro la faccio sempre, al­meno 1-2 volte a settimana».

Come ti trovi in Jayco-AlUla?
«Mi trovo benissimo, perché sei seguito in ogni dettaglio, e non ero abituato. Poi il fatto di aver raccolto qualche buon risultato in queste prime uscite ha fatto sì che la fiducia nei miei confronti aumentasse ancora di più, e ora so che in qualche corsa minore mi da­ranno la possibilità di fare la corsa per me».

Ci dicevi, però, che vorresti focalizzarti sulle lunghe salite…
«Sì, questo inverno abbiamo notato una certa attitudine a quel tipo di sforzo, quindi ci voglio lavorare davvero. Per il momento però non ne troverò molte, perché ora farò tutte corse con salite brevi ed esplosive…».

Che rapporto hai coi grandi capitani del Team Jayco AlUla?
«Mi piace ascoltare, di solito non devi neanche chiedere, perché i grandi leader ti dicono in anticipo quello che devi fare. Sarà una bella esperienza ai Paesi Baschi, la mia prima corsa a tappe WorldTour. Il livello sarà molto più alto rispetto a quelle che ho fatto finora, ci sarà tanto da imparare».

E con l’inglese come va?
«All’inizio facevo parecchio fatica, ma sono già migliorato molto. Riesco a farmi capire e comprendo quello che si dice in gara, anche se ancora arranco a fare grandi discorsi. Poi gli australiani hanno questo accento strano che non mi aiuta, e pure Simon Yates parla pa­rec­chio veloce. Ma anche questo è un aspetto che fa parte della crescita».

Come ti distrai nei giorni che trascorri tra una garae l’altra?
«Non ho hobby particolare, mi piace giocare alla Playstation, magari a Fi­fa… ma per il resto niente di che. Il mio focus è incentrato sempre e solo sulla bici».

da tuttoBICI di aprile

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