Spostato da oltre un decennio sull’asse Como-Bergamo, il Lombardia si conclude nel capoluogo orobico per la tredicesima volta in quasi trent’anni. Vi arriva col suo bel carico di fatica (238 chilometri, 4400 metri di dislivello) che giustamente gli restituiscono il titolo di mondiale d’autunno, ora che la corsa iridata è ritornata in piena estate. Di titoli la prova lombarda divide con la Liegi quello di classica più dura, perché ha un percorso che non mente: le ultime energie di una stagione logorante i corridori le spremono su sette salite più o meno cattive, cominciando con l’iconico Ghisallo e finendo su Colle Aperto in Città alta, in uno dei finali più spettacolari e affollati che il ciclismo possa offrire. Difficile che a entrar nell’albo d’oro sia uno qualsiasi, difficile che a giocarsi un posto nella storia arrivi un gruppo numeroso: il percorso dal lago alle valle orobiche è un’inesorabile gara a eliminazione. Pur senza l’iridato Van der Poel, il suo rivale Van Aert e il re del Tour Vingegaard, il Gotha attuale della bici è rappresentato al meglio: ecco le dieci facce con più chances di salutare la stagione in cima al podio.
Tadej Pogacar. Vince perché è la classica perfetta per lui, perché sulla lunga distanza pochi sono in grado di stargli davanti, perché più la corsa è dura è più si trova bene. Non vince perché dall’infortunio in poi sembra aver perso quel pizzico di brillantezza che gli rendeva tutto più facile.
Primoz Roglic. Vince perché è il suo momento, perché in stagione ha vinto tutte le corse disputate fuorché la Vuelta, perché in questa classica ogni volta fa meglio rispetto a quella precedente. Non vince perché su queste strade non sempre ha avuto dalla sua la buona sorte.
Remco Evenepoel. Vince perché chi conquista due Liegi in fila è pronto anche per questo traguardo, perché ha fatto di questa classica un obiettivo stagionale, perché col Lombardia ha un conto aperto dalla caduta del 2020. Non vince perché la concorrenza è tanta e di livello altissimo.
Enric Mas. Vince perchè è una delle classiche a lui più adatta, perché è uscito dalla Vuelta tirato al punto giusto, perché il secondo posto di un anno fa gli ha detto che può fare anche meglio. Non vince perché in una corsa di resistenza non sempre è pronto a cogliere l’attimo.
Michael Woods. Vince perché questa insieme alla Liegi è la sua corsa, perché uno così su questo tracciato difficilmente lo stacchi, perché vorrebbe festeggiare alla grande gli imminenti 37 anni. Non vince perché per riuscirci deve seminare tutti e con questa concorrenza non è facile.
Adam Yates. Vince perché su questo tracciato ha sempre fatto bene, perché viene da una stagione da primattore, perché l’aria del podio l’ha già respirata un paio di anni fa. Non vince perché, come Hirschi, dovrà sacrificarsi per Pogacar, rendendo ancor più dura una corsa che lo è già.
Simon Yates. Vince perché quando c’è salita non si spaventa, perché sembra meno spremuto rispetto al passato, perché ha imparato a far corsa d’attesa. Non vince perché con queste strade non ha mai preso confidenza e la caduta al giro dell’Emilia gli ha tolto un po’ di serenità.
Aleksandr Vlasov. Vince perché chi va forte in salita qui ha il terreno ideale, perché è l’unica corsa in cui si è arrampicato sul podio, perché nelle prove generali a Emilia e Tre Valli è andato al passo dei più forti. Non vince perché la distanza lunga finisce sempre per togliergli qualcosa.
Richard Carapaz. Vince perché vuol rifarsi dopo una stagione di guai, perché la salita non lo spaventa ma lo stimola, perché a San Luca nel finale ha mostrato di essere ancora brillante. Non vince perché nelle classiche gli manca esperienza e l’esuberanza di Ben Healy reclama spazio.
Romain Bardet. Vince perché ama le classiche dure, perché con le strade lombarde ha un buon feeling, perché quelli come lui e Mikel Landa a loro età devono affrettarsi a vincere una classica che conta. Non vince perché quando il gioco si fa duro gli manca quel briciolo di energia che serve.