Stasera qualifiche, tra domani, sabato e domenica le gare. Gli azzurri della pista stanno per affrontare la terza prova della Coppa delle Nazioni 2023, una delle tappe di avvicinamento (e "raccolta punti") all'Olimpiade di Parigi 2024. Tra un allenamento e una verifica licenze, abbiamo raggiunto telefonicamente oltreoceano, grazie al prezioso supporto del wi-fi del velodromo canadese di Milton, il loro preparatore Diego Bragato. Il quale ci assicura che la truppa è ben motivata a far bene. E col quale abbiamo parlato non tanto del qui e ora ma dello ieri, oggi e domani.
Diego, dopo aver corso fino alla categoria Under 23 come stradista e pistard scegliesti la laurea in Scienze Motorie e dello Sport, con una tesi peraltro sull'allenamento dell'inseguimento a squadre: dopodiché?
«Già durante gli studi ho collaborato con il Comitato Veneto della Federciclismo, ho fatto esperienza con diversi ragazzi in velodromo tra cui Lamon. Una volta laureato, ho lavorato per l'Androni vincendo il titolo nazionale col quartetto. Finché, nel 2011, Marco Villa mi ha voluto nel suo staff...»
E qui inizia la grande storia della super pista azzurra, targata Villa ma anche Bragato...
«Di base c'è il talento dei ragazzi, senza quello non vai da nessuna parte. Poi tanta passione e lavoro, con un gruppo affiatato far parte del quale è davvero un piacere. Da un campione come Elia Viviani fino a Filippo Ganna e tutti gli altri, abbiamo coltivato sempre la voglia di curare i particolari passo dopo passo e colmare tutte le lacune con le nazioni di maggior tradizione su pista. Abbiamo dimostrato che gli atleti forti c'erano, bisognava lavorare in funzione dell'obiettivo. Una grande conquista di Villa, oltre all'entusiasmo e ai conseguenti risultati, è stato il coinvolgimento di eccellenze italiane a livello tecnico e di materiali, da Campagnolo a Miche, da Pinarello a Vittoria, che ci mettono continuamente a disposizione test e competenze per farci lavorare al top.»
Per proseguire questo lavoro fantastico gioverebbe avere più velodromi, soprattutto al chiuso tipo Montichiari?
«Sarebbe sicuramente un grandissimo vantaggio, è un peccato avere campioni olimpici e mondiali e non riuscire a farli vedere in Italia. Non siamo ancora in grado di creare un evento come il record dell'Ora, che permetterebbe agli appassionati italiani di stare ancora più vicini ai ragazzi e amplificare l'entusiasmo per la pista. Avere più impianti da 250 metri come Montichiari, inoltre, permetterebbe di lavorare meglio coi giovani. Comunque abbiamo diverse strutture all'aperto e stiamo puntando molto sui corsi federali per tecnici di base, anche di pista.»
Un preparatore di 37 anni come te incarna pienamente la transizione e i cambiamenti sopraggiunti nella preparazione dal ciclismo "di ieri" a quello attuale: quali sono stati i cambiamenti fondamentali del decennio?
«Soprattutto la diversa programmazione. Ormai non si preparano più le gare su corto raggio, ma si costruiscono gli obiettivi sul lungo termine, distribuendo così tutti gli impegni e i carichi di lavoro in base a essi. Inoltre è divenuto fondamentale come non mai il lavoro sulla forza. Oggi si tende molto a sviluppare aspetti che si completano tra strada e pista.»
Dato che sei il responsabile delle performance di tutte le Nazionali ciclistiche azzurre, ti chiediamo quale sia secondo il te il motivo principale delle difficoltà dell'Italia nel ciclismo su strada ai più alti livelli
«I talenti li abbiamo, e anche tanti. Basti guardare quanti ottimi corridori abbiamo ancora nel World Tour e quanti juniores vengano a prenderci le squadre straniere. E qui sta il punto: la mancanza della fatidica squadra italiana nel World Tour. Senza di essa non riusciamo a far sbocciare i talenti in maniera serena, non riusciamo a monitorarne a dovere il delicato passaggio al professionismo. Gli ultimi grandi campioni azzurri sono usciti in buona parte dall'ultimo grandissimo team italiano che era la Liquigas: lì c'era tutto l'interesse a insegnare ai nostri corridori come si gestisce il grande salto. Oggi fanno parte giocoforza di squadre internazionali a cui interessa che loro rendano quanto vengono pagati.»
Cosa pensa di altre problematiche, evidenziate da diversi addetti ai lavori, legate magari al modo in cui vengono formati i talenti italiani?
«Io non cercherei il problema, ma motiverei e spingerei di più i ragazzi, anziché trovare sempre un appiglio per criticare come se fossimo ancora a 20-30 anni fa: il ciclismo oggi è multinazionale, non ci sono più solo Francia, Belgio, Olanda etc etc ma abbiamo pure Eritrea, Slovenia e tanti altri Paesi con corridori competitivi. Noi dovremmo essere contenti di essere ancora tra i migliori del gruppo, e invece riusciamo qualche volta a criticare un Ganna che ha portato titoli mai esistiti nella crono italiana. Abbiamo ragazzi che si mettono in luce come Milan e Bagioli, e non li tuteliamo. Credo che dobbiamo riconoscere nei loro ottimi risultati un valore aggiunto e continuare a fare il tifo per loro: dobbiamo avere fiducia, e con pazienza ci arriveremo.»
A tal proposito, ci godiamo il fantastico momento dell'Italpista e... facciamo il tifo per Bragato, il c.t. Villa, tutto lo staff e gli atleti azzurri.