Ricollocata nella sua posizione tradizionale, dopo che stop per pandemia, spostamento in autunno e inversione di date con l’Amstel causa elezioni in Francia l’avevano tolta dalla scia del Fiandre, la Parigi-Roubaix si corre per il secondo anno in fila a Pasqua, coincidenza che rende la Regina delle classiche ancor più speciale di quanto già non sia. Spartito collaudato con partenza da Compiegne, a Nord della capitale, e arrivo nel velodromo della città del carbone dopo 257 chilometri, un quinto dei quali (55) in pavé, distribuiti in 29 settori, veri e propri monumenti nazionali conservati con cura maniacale (per togliere l’erba fra le pietre sono state utilizzate anche le capre…). Tre i passaggi chiave, per lunghezza e difficoltà: la Foresta di Aremberg, vero spartiacque della corsa, il tratto sassoso di Mons en Pevele e il Carrefour de l’Arbre. E una novità: dopo 19 anni torna il settore di Haspres, 1700 metri tosti prima della Foresta. Classica per uomini duri, dal fisico potente e resistente, prevede al via una dozzina di italiani, compreso il rientrante Moscon, due volte nei primi cinque in passato. Ecco le dieci facce che nel velodromo potrebbero sciogliere la fatica in un sorriso.
Mathieu Van der Poel. Vince perché star davanti gli riesce facile, perché fra Sanremo e Fiandre ha raccolto un primo e un secondo posto, perché ha la forza e l’abilità per domare percorsi così impegnativi. Non vince perché per confermare di essere il migliore non bisogna commettere il minimo errore.
Wout Van Aert. Vince perché come Van der Poel va forte su ogni tipo di terreno, perché c’è arrivato a un passo lo scorso anno, perché dopo Sanremo e Fiandre non può farsi sfuggire anche l’ultima occasione. Non vince perché nelle classiche monumento gli manca sempre qualcosa per essere perfetto.
Dylan Van Baarle. Vince perché è un uomo fatto apposta per correre sulle pietre, perché il successo di un anno fa gli ha dato consapevolezza nei propri mezzi, perché per arrivar più fresco ha rinunciato al Fiandre. Non vince perché se Van Aert arriverà in fondo dovrà mettersi al suo servizio.
Filippo Ganna. Vince perché è la classica più adatta a lui, perché sul pavé francese è riuscito a far centro già da dilettante, perché alla Sanremo ha dimostrato di esser uomo da classiche. Non vince perché in questa corsa non basta avere gambe buone, ma servono anche fortuna e abilità di guida.
Nils Politt. Vince perché fin qui ha corso per farsi trovar pronto sul pavé, perché il secondo posto di quattro anni fa gli ha detto che può far meglio, perché ha fisico e tenuta per giocarsela fino in fondo. Non vince perché per non correr rischi deve staccar tutti prima del velodromo.
Mads Pedersen. Vince perché fra Sanremo e Fiandre ha corso sempre in prima fila, perché è uno di quelli che nelle classiche ha fatto il salto di qualità, perché ha voglia di dimostrare quanto vale anche qui. Non vince perchè dà il meglio di sé sulle pietre fiamminghe e puntualmente i sassi francesi gli presentano il conto.
Stefan Kung. Vince perché ha le qualità fisiche e tecniche per farlo, perché con le pietre sta dimostrando di avere confidenza, perché come Ganna sta rivelando di non esser bravo solo a cronometro. Non vince perché il terzo posto di un anno fa potrebbe esser stato un exploit e non un segnale.
Davide Ballerini. Vince perché ha la possibilità di giocare le proprie carte, perché le corse dure sono quelle che gli piacciono di più, perché ha già fatto vedere di saper correre davanti. Non vince perché le cadute del Fiandre lasciano il segno e alla fine gli toccherà sacrificarsi per Lampaert o Asgreen.
Jonathan Milan. Vince perché questa è la classica dei suoi sogni, perché ha il fisico e il passo per poter reggere la sfida, perché dall’amico Colbrelli potrebbe ricevere i consigli giusti per farcela. Non vince perché a 22 anni, a differenza del compagno Mohoric, ha appena iniziato a studiare da primattore.
Alexander Kristoff. Vince perché a quasi 36 anni ha ritrovato brillantezza, perché sul pavé francese non ha mai vinto pur correndo sempre davanti, perché come altri grandi vecchi come Vanmarcke e Van Avermaet ha l’esperienza per inventarsi sorpresa proprio a Pasqua. Non vince perché ne deve seminare troppi per riuscirci.