Siamo a metà strada e tra un anno, di questi tempi, saremo alla vigilia di una campagna elettorale che culminerà con il rinnovo delle cariche federali nel febbraio del 2025. Cordiano Dagnoni, eletto il 21 febbraio del 2021, ha soffiato qualche giorno fa sulle sue due candeline e, come in tutte le ricorrenze che si rispettano, oltre a festeggiare il presidente è pronto a fare anche il punto della situazione a metà del suo mandato. Quella che si è da poco conclusa è stata una stagione intensa e complicata, carica di medaglie, ma anche di polemiche e con il presidente ne abbiamo approfittato per provare a mettere in fila pensieri e considerazioni.
Presidente, intanto auguri.
«Grazie, grazie davvero, ma questo è un compleanno che va esteso a tutto il Consiglio e a tutta la grande famiglia del ciclismo».
Cosa si porta dietro al termine di questi primi due anni di presidenza?
«Sicuramente un’esperienza indimenticabile che mi ha fatto crescere sia come uomo che come dirigente, oltre a mettermi nelle condizioni di mostrare sul campo tutte le mie esperienze fatte nei precedenti ruoli, sia professionali che sportivi, ma il ricordo più bello è chiaramente dato dai successi ottenuti dagli atleti che hanno reso grande il nostro Paese».
Si immaginava che fare il presidente fosse così impegnativo?
«Sì, perché comunque l’aver guidato una regione importante come la Lombardia è stato per me come aver disputato un prologo alla vigilia di una corsa a tappe e di conseguenza ero consapevole di ciò che mi aspettava. Rispetto invece alle difficoltà che mi attendevo dagli ambienti romani, il tutto è stato semplificato e mitigato da una collaborazione fraterna da parte di tutti gli altri presidenti di Federazione che mi hanno davvero accolto come meglio non potevo sperare, agevolandomi in questa delicata transizione. Temevo che il passaggio fosse molto più complicato, ma con senatori del calibro di Franco Chimenti (Federgolf, ndr) e Gianni Petrucci (Federbasket, ndr) unitamente al numero uno dello Sport italiano, Giovanni Malagò, tutto si è rivelato molto più semplice e lieve».
Cosa le piace di più dell’essere a capo del governo ciclistico italiano e cosa di meno?
«Mi piace il ciclismo, che è la mia passione, è il mio amore bambino. Però so anche che è una grande responsabilità; tutto va ponderato e pensato, perché sono a capo di una Federazione importante e tutt’altro che piccola, composta da tante specialità. Come da imprenditore amavo seguire più gli aspetti commerciali e meno quelli sindacali, anche qui c’è quello che amo fare con maggior trasporto, ma alla fine è la passione a prevalere e devo dire che di questa esperienza mi piace davvero tutto».
Tra le notizie più positive, le medaglie che non sono di certo mancate.
«Recentemente ho fatto fare una statistica dei sedici anni precedenti alla nostra gestione ed è uscita fuori una media di 45,3 medaglie l’anno. Noi, di contro, al primo anno abbiamo portato l’asticella a 97 successi, che lo scorso anno sono arrivati addirittura a 130. Insomma, ci siamo messi in una situazione bellissima ma anche impegnativa: non sarà facile migliorarsi».
La maglia azzurra, però, a livello pubblicitario non è ancora così appetibile…
«Abbiamo voluto dare alla maglia azzurra il valore che merita, pertanto l’abbiamo ripulita e stiamo lavorando affinché si possa trovare uno sponsor di rilevanza nazionale, che possa rappresentare l’Italia e l’italianità nel mondo».
In pista siamo punto di riferimento, su strada stiamo vivendo invece una difficile transizione.
«Se me lo consente, le racconto un aneddoto che mi ha gratificato molto. Da poco Cameron Mayer ha assunto il ruolo di CT delle donne della nazionale inglese e in occasione dei recenti campionati europei su pista è venuto personalmente a farci i complimenti: “ormai l’Italia è il punto di riferimento di tutte le nazioni”, ha detto. Una frase di questo tipo, detta da un grande campione come lui, messo a capo della nazionale inglese che fino a poco tempo fa era indubitabilmente la nazione più forte del mondo, è motivo di orgoglio per tutto il nostro movimento. Per quanto riguarda la strada, invece, non vorrei essere polemico ma sono convinto che il nostro ciclismo disponga di ottimi elementi, ma paghi il fatto di non avere una squadra di riferimento nel World Tour, questo è un grave handicap per tutti i nostri ragazzi».
Le donne pedalano veloci verso un riconoscimento professionistico: come pensa che sarà in futuro il ruolo strategico che ricoprono oggi i corpi dello Stato?
«Il movimento sta crescendo tantissimo, ma i Corpi dello Stato restano comunque indispensabili non solo per il movimento femminile, ma per tutte quelle discipline in cui il professionismo non è contemplato. Mi riferisco al fuori strada, alla pista, al Bmx e via elencando. Noi recentemente abbiamo lavorato sui Corpi militari per arruolare atleti che svolgono questi tipi di specialità e credo che sia l’unico modo per farli crescere e permettere loro di continuare a correre. Senza l’aiuto dei Corpi dello Stato questo non sarebbe possibile».
Quest’anno, intanto, la Federciclismo ha anche varato un nuovo logo: una libera reinterpretazione di quello che da anni è simbolo del Giro d’Italia.
«Noi abbiamo voluto dare spazio alla creatività. Per questo abbiamo indetto un concorso di idee che ha riscosso un grandissimo successo, tanto da ricevere la bellezza di 545 proposte da tutto il mondo, da privati e da agenzie. Mi piace sottolineare che il più giovane aveva dieci anni e il più vecchio 84, poi una commissione ha scelto questo logo che rappresenta il ciclismo, ma senza identificare una specialità in particolare, perché la Federciclismo è tante cose messe assieme, fatto di tante specialità e tante biciclette: ha appunto una declinazione infinita».
Passiamo alle note dolenti: ad agosto lei e la Federciclismo vi siete trovati travolti dalla bufera politico-mediatica per un presunto pagamento, o tentativo di pagamento, sul conto di una non ben definita società irlandese: la questione meglio conosciuta come quella dei 106 mila euro irlandesi.
«Parliamo di un fatto che non sussiste. Si è parlato, scritto e discusso di cose che non sono mai state fatte: e questi sono i fatti. Come sono solito dire, c’è la figura super partes del presidente del Coni Giovanni Malagò, il quale per questa vicenda ha dato mandato al Coni di fare un importante Audit interno durato quattro mesi e il risultato è sotto gli occhi di tutti, anche di Norma Gimondi che siede in Giunta Coni e in occasione dell’esposizione finale di questa approfondita analisi non ha proferito parola in merito. L’Audit è stato chiarissimo: c’è stata qualche sbavatura formale, però in assoluta buona fede. Punto. Il resto sono solo chiacchiere da bar».
In quella calda e torrida estate, Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport non sono state tenere con lei: sono state settimane durissime. La “rosea” è arrivata anche a chiederle per ben due volte le dimissioni.
«Devo dire che in quei giorni ho tirato fuori tutta la grinta e la determinazione del corridore. Non è stato facile leggere e reggere alla pressione di quegli articoli e superare quei momenti, ma con pazienza siamo riusciti a rimettere in ordine le cose e a far capire che quello era stato principalmente ed esclusivamente un processo alle intenzioni. Poi, se me lo consente, le mie dimissioni può chiederle solo il mio Consiglio o chi mi ha votato, non certo un giornalista».
Cosa ha imparato da questa vicenda?
«Io ho un credo, diciamo familiare: delega tutto, tranne il controllo. Probabilmente mi è sfuggito qualcosa in fase di controllo. Ho esagerato nel riporre fiducia in alcune persone».
Per la vulgata del ciclismo, l’accordo siglato recentemente tra la Federciclismo e Rcs Sport, che sarà chiamata a organizzare il Giro degli Under 23 per cinque anni e dal 2024 e per i prossimi quattro il Giro donne, è un chiaro “inciucio”; è stato visto come un accordo riparatore e di comodo.
«Non è assolutamente così, perché noi abbiamo voluto seguire una procedura pubblica per mettere in condizione chi aveva le caratteristiche e i requisiti per poter ambire ad organizzare queste due importanti manifestazioni. Facendo il confronto con il passato, quando la Federazione pagava agli organizzatori i premi, oggi noi siamo nelle condizioni di ricevere una proposta da Rcs Sport molto interessante che dà la possibilità alla nostra Federazione di promuovere l’attività di base (a breve Rcs Sport renderà noti tutti i dettagli di questa intesa, ndr). Vorrei anche sottolineare una cosa: noi abbiamo fatto una procedura ad evidenza pubblica e ci attendevamo più di un player in corsa, inspiegabilmente se n’è presentato uno solo. Di questo sono rammaricato».
In ogni caso - e questo è innegabile - il Giro degli Under 23 e quello delle donne sono finiti nelle mani del più importante organizzatore italiano, uno dei più attrezzati al mondo. È altrettanto vero che adesso gli altri organizzatori sono tutti spiazzati. Senza il Giro “rosa”, che era il pezzo pregiato della collezione, Infront ha fatto un passo indietro e si è detta non più interessata a lavorare alla produzione e distribuzione di quel che restava delle corse e, di conseguenza, gli organizzatori ora rischiano di dover faticare non poco per vedere la messa in onda delle loro rispettive corse.
«Ci aspettavamo la proposta anche di Infront, che invece non è arrivata. Per quel che riguarda tutto il resto delle corse professionistiche (meno le corse del Gs Emilia, Tour of The Alps e quelle di Filippo Pozzato, ndr), confido molto nell’avvocato Cesare Di Cintio, commissario della Lega, che sta portando avanti con molta determinazione delle trattative per poter soddisfare le esigenze degli organizzatori con aziende del settore. L’accordo siglato di recente con la NVP Media Company va in questa direzione. Un importante partner per soddisfare le esigenze di tutti».
Come vede la Lega del futuro?
«Avevo due alternative: chiuderla o trovare una soluzione per farla funzionare come succede in altri sport. Pertanto abbiamo fatto una scommessa per provare a rilanciarla e per farlo abbiamo deciso di puntare su due commissari molto preparati come l’avvocato Tognon, dedito alla parte più formale e burocratica, e il già citato avvocato Di Cintio più dedito alle attività manageriali. Bene, devo constatare che questo binomio sta funzionando alla grande e, di conseguenza, sono convinto che la nuova Lega possa tornare a breve ad essere centrale nel movimento ciclistico italiano e possa anche aprirsi al ciclismo femminile, diventando insieme alla Lega francese e a quella spagnola un’entità che farà sicuramente gli interessi del settore».
Parliamo di persone: Roberto Amadio.
«È stata la scelta più giusta che potessi fare. Ha dato un’impostazione diversa alle nazionali. Quando mi chiedono qual è il segreto delle nostre vittorie, a me piace dire che è il clima che si è venuto a creare in seno a questo grande gruppo di lavoro e il grande merito va riconosciuto chiaramente a Roberto che ha saputo creare l’atmosfera giusta».
Daniele Bennati.
«È stata una scommessa, visto che non aveva un’esperienza di tecnico in ammiraglia, anche se aveva la qualifica di tecnico di terzo livello. Credo che il commissario tecnico della nazionale non debba essere un preparatore, ma un attento selezionatore e al fianco di Mario Scirea, che ha una grande esperienza sul campo, Bennati sta formando un buonissimo binomio, ognuno con il proprio ruolo».
Marco Villa.
«C’è poco da aggiungere: tecnico di poche parole ma stimato e apprezzato da tutti, per lui poi parlano i risultati. Tutti si fidano ciecamente di Marco. Il fatto di avergli affidato anche il settore femminile della pista credo che abbia dato un valore aggiunto a tutto il movimento della pista».
Dino Salvoldi.
«Ha messo a disposizione tutta la sua esperienza per un settore molto delicato come quello degli Juniores. A Dino ho chiesto soprattutto una cosa: non mi interessano le vittorie, ma vorrei la crescita graduale degli atleti, affinché possano diventare campioni in futuro. Lui ha questa mission e responsabilità. Ne sono certo, siamo in buone mani, perché Dino è uno dei tecnici più preparati in assoluto».
Paolo Sangalli.
«Ha fatto una grandissima gavetta nel settore femminile proprio a fianco di un fuoriclasse come Salvoldi, ma devo dire che Paolo sta dimostrando di avere grande competenza e credibilità. Sento che le ragazze sono tutte molto contente e quindi sono persuaso che scelta migliore non poteva essere fatta».
Ha più sentito Norma Gimondi?
«No».
Al Giro d’onore quest’anno ha invitato anche Daniela Isetti: un gesto di distensione?
«In verità Daniela era stata invitata anche l’anno scorso, in quanto componente dell’Uci e pertanto figura preziosa e di riferimento per tutti noi. Probabilmente l’anno scorso non è venuta perché c’era già il direttore generale dell’Uci Amina Lanaya, mentre quest’anno ha accettato il nostro invito e io ne sono assolutamente contento».
Qual è il suo rapporto con Silvio Martinello?
«Fino a prima delle elezioni era un rapporto buono e di assoluta amicizia. Poi, in campagna elettorale i toni si sono inaspriti, soprattutto da parte sua. Dopo le elezioni lui ha proseguito nella sua costante ed estenuante campagna elettorale facendo ricorso alla sua pagina facebook e ad un sito che ha una visione delle cose molto personale, per non dire unidirezionale e preconcetta, portato a mistificare regolarmente la realtà».
E con Renato Di Rocco?
«Durate le note vicende di questa estate (quella dei 106 mila euro, ndr), non è stato per niente super partes e da un past president di lungo corso come lui mi aspettavo un fair play diverso».
Sente Davide Cassani?
«No, ma siamo apertissimi a qualsiasi tipo di dialogo e collaborazione. Entrambi abbiamo lo stesso obiettivo: lavorare per il bene del ciclismo».
Recentemente ha incontrato il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, quello dello Sport e per i Giovani Andrea Abodi e quella del Turismo Daniela Santanché: incontri importanti.
«Con Piantedosi e Abodi avevo già avuto incontri in precedenza e devo dire che Piantedosi in particolare è un grande appassionato di ciclismo nonché praticante. Con lui abbiamo parlato di sicurezza e l’obiettivo è quello di chiudere a breve un giro di incontri con i ministri, per poterli poi invitare tutti attorno ad un tavolo per sposare questo progetto che riguarda un argomento molto sensibile e delicato qual è appunto quello sulla sicurezza».
Parlando di persone, recentemente ha dovuto invece rinunciare a Luciano Fusarpoli, che ha lasciato la presidenza della Struttura Tecnica, così come a Roberto Sgalla, già direttore centrale per la Polizia Stradale, Prefetto, Direttore della Scuola Superiore di Polizia, che ricopriva il ruolo di Responsabile della Commissione Nazionale Direttori di Corsa e Sicurezza.
«Fusarpoli è stato voluto da me, l’ho convinto a ricoprire un ruolo molto delicato e impegnativo e lui con grande professionalità, competenza e impegno l’ha svolto come meglio non poteva fare. Poi, terminato il patto di non concorrenza che aveva con la cicli Pinarello, ha sentito il richiamo del mercato della bicicletta e io non ho potuto far altro che prenderne atto. In compenso, sono altresì soddisfatto di aver trovato nella figura di Fabrizio Bontempi una risorsa altrettanto valida, con una competenza di ciclismo nel mondo giovanile non indifferente».
E Sgalla?
«C’era sempre un ventilato conflitto d’interessi relativo al suo ruolo all’interno di “Formula Bici” (ne è il presidente, ndr), per cui stiamo valutando una figura nuova e diversa che non abbia legami particolari con le organizzazioni».
Nel primo anno di presidenza non piacevano affatto le sue foto da sdraiato per festeggiare le vittorie degli azzurri, adesso molti hanno da ridire sul fatto che quando si muove lo fa sempre con la cosiddetta “corte dei miracoli”.
«Cos’è la corte dei miracoli? Mi giunge nuova. Quando mi muovo sono solito essere in compagnia di membri della nazionale. Poi, se vogliamo dirla tutta, quando ho incontri istituzionali sono generalmente accompagnato dall’addetto politico, oppure sono solo: nessuna corte dei miracoli. In ogni caso, queste le trovo solo critiche sterili: se si attaccano a queste cose, significa che non hanno altri elementi a cui appigliarsi e stiamo lavorando bene».
Quali sono i progetti che ha in mente?
«La traccia è quella del mio programma elettorale. Ci sono molte cose che sono state fatte e altre che sono in itinere. Il sogno resta sempre la “Sei Giorni di Milano” alla quale stiamo lavorando. Ma ad un’altra cosa tengo tantissimo…».
A cosa?
«Con il Ministro Daniela Santanché stiamo lavorando alla certificazione della figura di “guida cicloturistica” a livello nazionale, questo sarebbe un riconoscimento molto importante, che aprirebbe ad una nuova figura professionale riconosciuta non solo a livello locale, ma nazionale».
Qual è la cosa di cui va più fiero?
«La scelta delle persone. Sono molto orgoglioso della mia squadra, dei miei collaboratori».
Cosa, invece, sopporta meno?
«La mistificazione dei fatti».
Cosa si attende da questa stagione e per che cosa vorrebbe che fosse ricordata?
«Il 2023 è l’anno più impegnativo dal punto di vista delle qualifiche in chiave olimpica. Come Federazione siamo molto impegnati nella ricerca e sviluppo e in questo stiamo investendo. È notorio che tutti i materiali che saranno utilizzati a Parigi dovranno essere commercializzati almeno un anno prima, quindi stiamo lavorando sodo per mettere a punto tutto. A tale proposito abbiamo anche creato un gruppo performance con degli specialisti che curano tutti i dettagli che vanno dalla preparazione atletica, allo studio di nuovi materiali, fino al biomeccanico. Con l’Istituto della Scienza dello Sport abbiamo poi cablato l’intera pista di Montichiari per poter analizzare tutte le fasi di corsa con l’ausilio della telemetria. Insomma, questo sarà un anno di lavoro e di ricerca e spero che quanto di buono sarà fatto, possa essere visto e ricordato non tanto in questo 2023, ma tra un anno, ai Giochi Olimpici di Parigi. Questo è almeno quello che spero».
A questo punto, presidente, gli auguri sono d’obbligo.
«Grazie, sono ben accetti».
da tuttoBICI di marzo