Tutto prende il via da una domandina come questa: si è accorto qualcuno che non è stato detto quanti soldi ha guadagnato Filippo Ganna con la sua impresa?
Lasciamo per ora la domandina da parte. Lunga premessa, adesso, e pazienza se farcita anche di déjà-dit, a proposito del primato dell’ora di Ganna, che lo scorso 8 ottobre ha pedalato per 56 chilometri e 792 metri su una pista svizzera, a Grenchen, e del ricordo di quando il suo favoloso collega Fausto Coppi aveva tolto il primato al francese Maurice Archambaud, mettendo insieme, il 7 novembre 1942, 45 chilometri e 798 metri, in un’ora di velodromo Vigorelli, nella Milano che già conosceva i bombardamenti del secondo conflitto mondiale.
Il fatto che si tratti di due italiani primatisti (due piemontesi, Ganna del Verbano e Coppi dell’Alessandrino però con padre e madre provenienti da Quarna, sempre Verbano, toh) può e magari deve lusingarci, ma ci deve inquietare il fatto che Ganna sia stato prima invitato invano a non scegliere per il tentativo la stessa data del Giro di Lombardia su strada e poi “condannato” a vedere abbastanza minimizzata la sua impresa sugli organi di informazione eccezionalmente già gonfi di altro ciclismo. Pochi giornali hanno mandato il loro inviato a Grenchen, la Rai lo ha fatto ma senza spiegamento di mezzi e persone, gli spazi offerti all’evento sono stati quelli appena appena doverosi, sulla carta come nel lucore dei teleschermi.
Eppure Ganna come allora Coppi ha compiuto una impresa enorme, epocale per quello che è il divenire dell’uomo di fronte alla fatica, per di più solitaria. E una settimana dopo lo stesso ciclista si è ripetuto, stavolta nel velodromo francese designato per i Giochi di Parigi 2024, con il record del mondo nell’inseguimento individuale, giunto dopo l’argento del quartetto a squadre.
Sin qui tutto saputo e però, stante la riduzione degli spazi mediatici, non anche doverosamente, ineluttabilmente risaputo. Quasi che, una volta rispettato il rito dell’informazione cronistica e del minimo di ambientazione dell’impresa nel posto e nel tempo, quando non addirittura - e generosamente - nella storia, il diciamo dovere sia stato compiuto.
Eppure Ganna, come allora Coppi (quando la tivù non c’era e radio e giornali erano pieni di notizie della guerra), ha scritto una pagina fondamentale di fisiologia umana, intanto che ha concretizzato sulla sua bicicletta un enorme perfezionamento - di materiali e non solo - che presto avrà dei riflessi anche nei velocipedi comuni di quello che nel frattempo è diventato il primo sport al mondo, in tante versioni e su tanti terreni, praticato com’è anche da tantissime donne, e con le vele al vento dell’ecologia e della conversione energetica.
Ganna e i suoi 56,792 in cambio (eufemismo per elemosina o poco più) di spazio mediatico dolorosamente strappato al calcio - misero sport ma grande gioco - sempre imperversante con il suo nulla che una pioggia d’oro e di assegni ha fatto diventare un tutto, con partite orribili e però un gran vomitare su di esse di problemoni tattici, pronostici acrobatici, interessi sospetti, sabba di stregoni, complotti cosmici, chimiche sentimentali ed effettive, congiure sporche, e nell’imminenza poi del campionato mondiale prossimo venturo nel posto, il Qatar, più assurdo del mondo per l’espletamento di sane pratiche sportive, e in stadi destinati al macero del farsi presto macerie, e costruiti con sacrifici umani, quasi un orrido rito pagano.
Certo che se Ganna avesse guadagnato tanti ma tanti milioni di euro ci sarebbe stata la parcellizzazione morbosa della resa economica di ogni sua pedalata, di ogni metro o anche centimetro conquistato. Certo che se Ganna avesse avuto un’amante celebre, o persino un amante senza apostrofo però celeberrimo, anche i media della vie en rose si sarebbero riversati su di lui. Certo che se Ganna avesse giocato anche bene a tennis….
Il paradosso c’è e si vede: nel mondo degli egoismi che portano sino alle guerre, dei diritti dei molti calpestati dal potere dei pochi, un uomo solo (uffa, un altro) che gira in un velodromo pedalando non ha proprio niente da dire e da dare. Lui propone una straordinaria avventura fisica a noi che ormai siamo dei robot meccanici.
P.S.: il bis, temiamo, quando - presto, ormai ci siamo - un uomo in mutande, magari con i piedi fasciati da scarpette speciali che intrigheranno non poco, arriverà a coprire correndo i 42 chilometri e 195 metri della maratona in meno di due ore.
da tuttoBICI di novembre
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