Le ha date. Norma Gimondi ha rassegnato ufficialmente ieri pomeriggio le dimissioni. Fine della sua esperienza politica in questo Consiglio Federale, che a questo punto deve risponderne pure lui, deve scegliere se garrulo finire contro un blocco di ghiaccio prima che la calotta artica si sciolga o proseguire imperterrito a difendere l’indifendibile, perché comunque andrà a finire, la figura di palta è stata fatta.
Il dado è tratto e la “Gazzetta dello Sport”, assieme al “Corriere della Sera”, aggiungono oggi una nuova puntata dando voce alla dimissionaria figlia di Felice. Vi consiglio di andare in edicola e leggere la paginata rosa, così come vi consiglio anche Marco Bonarrigo sul Corrierone.
«È iniziato tutto il 18 giugno – racconta Norma Gimondi a Davide Romani -: siamo stati convocati in Consiglio Federale per l’approvazione del bilancio consultivo e ho deciso di non approvare. Il 10 giugno avevo chiesto il dettaglio dei contratti di sponsorizzazione della Federazione ma mi è stato fornito solo un file excel riassuntivo. Era l’antipasto di quanto successo poi in questo mese...».
Quando ha scoperto dell’esistenza dell’irlandese Reiwa?
«Il 4 agosto la Federazione ci ha inviato il verbale del 18 giugno. Il giorno dopo lo leggo e scopro l’esistenza di un nuovo punto di cui non si era discusso. Il punto 3.6 prevedeva di delegare al presidente Dagnoni la sottoscrizione dell’accordo per procacciamento d’affari tra la Federazione e la società Reiwa determinando in favore della stessa una provvigione di 106 mila euro».
Enervit nei giorni scorsi ha però smentito ogni intermediazione… Reiwa ha detto di non aver mai sottoscritto contratti e a Federazione ha poi ammesso che non c’è alcun contratto e che nulla è stato pagato.
«Peccato che il 22 agosto il segretario generale ha mandato una bozza di verbale del Consiglio del 6 agosto dove si ammette che di Reiwa non si era parlato nella seduta del 18 giugno: il nominativo della società è stato indicato alla segreteria generale solo dopo e, pertanto, i contatti con la società erano stati successivi al consiglio federale di giugno. Quella delibera non è mai esistita, come la relativa votazione». E via di questo passo: un’intervista tutta da leggere, dove Norma con grande onestà intellettuale riconosce anche qualche suo errore. Per quanto mi riguarda, la invito a non commetterne un altro: non si dimetta dalla Giunta Coni. È stata eletta. Al fianco di Giovanni Malagò – mi auguro che la Procura Federale della Federciclismo dormiente si animi e lo stesso faccia pure il Coni – si troverà sicuramente meglio. È donna di sport, nel salotto dello sport italiano potrebbe trovarsi meglio.
Detto questo, c’è anche Bonarrigo, che raccoglie il pensiero di Norma e ricorda le parole del presidente Cordiano Dagnoni, che al Corriere spiegò che la società irlandese serviva a pagare «procacciatori italiani non in grado di produrre fattura».
Insomma, c’è tutto. C’è molto. C’è il necessario per togliere il disturbo allegramente. C’è molto per metterci mano, c’è materiale per una Procura della Repubblica e quant’altro. Una cosa è altrettanto certa, ci sono delle domande alle quali mancano ancora delle risposte. Tuttobiciweb le ha poste il 18 agosto scorso, la “Gazzetta” le ha riproposte anche oggi, con il suo vice-direttore Pier Bergonzi: «Dagnoni deve ancora spiegare a quali mediazioni si riferiscono (l’Enervit, ad esempio, ha preso le distanze) i 106 mila euro alla società irlandese Reiwa Management Limited, che figuravano nella delibera contestata da Norma Gimondi. E soprattutto chi sarebbero stati i beneficiari finali delle provvigioni?
L’inopportunità dell’operazione (perché rivolgersi a una società irlandese?) è evidente, come dovrebbe essere evidente che la trasparenza è una necessità. Ma leggendo quello che si è detto sabato prima che il Consiglio venisse sospeso, il governo del ciclismo in questo momento più che una finestra di vetro trasparente, sembra uno specchio sul quale qualcuno prova ad arrampicarsi.
Caro Dagnoni, la sua passione (grande) per il ciclismo non basta. Risponda alle più elementari domande che ci stiamo facendo. Lo deve a tutto il movimento del ciclismo».