Media record ma Tour tartaruga. Sembra un ossimoro, ma non lo è. Oggi sul “Il Fatto Quotidiano”, a firma Lorenzo Vendemiale, compare un articolo molto interessante, che pone l’accento su questo Tour spettacolare e velocissimo, ma che «in termini di valori assoluti rimane lontanissima dagli standard passati: questi due campioni, perché non c’è dubbio che Vingegaard e Pogacar lo siano, vanno molto più piano dei nomi che hanno segnato la storia di questo sport e continuano ad essere celebrati come miti».
E ancora: «Anche stavolta, ad esempio sull’Alpe d’Huez, la più iconica delle montagne francesi, che al Tour viene riproposta come un totem quasi ogni anno e per questo si presta particolarmente ai confronti. Non è semplice paragonare scalate avvenute in momenti diversi, ci sono tante variabili (lunghezza della tappa, distanza dal traguardo, condizioni meteo, ecc) che possono incidere sul crono. Ma certo non è solo un caso se su questi mitici tornanti Pogacar, pur facendo fuoco e fiamme per staccare il rivale, ha impiegato 2 minuti e 18 secondi in più di Pantani nel’95. Addirittura i primi otto miglior tempi risalgono agli Anni Novanta. Stessa storia per Hautacam, dove si è decisa la corsa: Vingegaard ha scalato i 13,6 km (pendenza media 7,8%) in 36’30”, alla media di 22,2 km/h, con una potenza di 6,4 watt per kg. Sono dati eccezionali, superiori ad esempio a quelli del nostro Vincenzo Nibali vincitore nel 2014, ma comunque distanti dall’assurdo primato di 34’38” stabilito nel 1994 da Bjarne Riis…». Ancora: «È l’unico sport in cui la retta temporale sembra muoversi al contrario: ovunque i record sono fatti per essere migliorati, dal nuoto all’atletica il progresso è continuo perché tutto si evolve, i materiali, le tecniche di allenamento e di alimentazione, la fisiologia degli atleti. Nel ciclismo no: le biciclette sono più leggere e performanti, eppure siamo fermi al lustro ’90-’95, a cui risalgono praticamente tutti i record delle salite più famose».