Collocata eccezionalmente fra Fiandre e Roubaix, dopo l’inversione di date con la Francia impegnata nelle elezioni politiche, l’Amstel ritrova la tradizionale lunghezza: tornano ad essere 250 i chilometri di gara dopo i 216 dell’edizione passata, quando la corsa è ripartita dopo lo stop per pandemia. Non ritrova invece l’ultimo vincitore, Van Aert, premiato un anno fa dal fotofinish dopo uno sprint con Pidcock del quale si discute ancora: reduce dal covid che gli ha negato il Fiandre, il belga si concentrerà sulla Roubaix di Pasqua, rinviando alle pietre francesi il duello con lo storico rivale Van der Poel. Dei trentatre muri che semina lungo il tragitto tra Maastricht e Valkenburg, la Classica della Birra lascia al Cauberg il ruolo di giudice supremo: dei tre passaggi previsti sul colle più noto dei Paesi Bassi, l’ultimo è a 24 chilometri dall’arrivo, ma può dire abbastanza sul vincitore, se non deciderlo. Di Italia al via c’è anche una squadra intera, la Bardiani Csf Faizanè di Reverberi con Battaglin e Zana. Ecco le dieci facce con le maggiori chances di alzare il boccale in cima al podio.
Mathieu Van der Poel. Vince perché è in un momento di forma straordinaria, perché è la corsa che ha aperto la sua collezione di classiche, perché come al Fiandre vuol fare meglio di papà Adrie concedendo il bis. Non vince perché la mancanza di rivali alla sua altezza potrebbe togliergli un po’ di stimoli.
Tom Pidcock. Vince perché è una classica che gli si adatta, perché non ha ancora digerito il modo in cui ha perso questa corsa un anno fa, perché per dimostrare di esser uomo da Nord deve centrare un risultato importante. Non vince perché a 22 anni paga ancora dazio all’inesperienza.
Christophe Laporte. Vince perché è nel suo momento migliore, perché non vuol far rimpiangere l’assenza di Van Aert, perché vuol ripagare la grande fiducia che la squadra sta dimostrando in lui. Non vince perché un conto è correre per aiutare un leader, un altro correre da leader.
Kasper Asgreen. Vince perché è un uomo adatto alle stradine olandesi, perché deve riscattare un Fiandre dove non è stato fortunatissimo, perché la sua Quick Step ha voglia di tornare a recitare da protagonista. Non vince perché di gente che può attaccare da lontano come lui ce n’è fin troppa.
Marc Hirschi. Vince perché ha bisogno di trovare un successo di prestigio, perché i guai della passata stagione sembra esserseli lasciati alle spalle, perché ha il terreno ideale per correre all’attacco come piace a lui. Non vince perché, fra Trentin e Ayuso, la concorrenza in squadra potrebbe frenarlo.
Andrea Bagioli. Vince perché ha le qualità per fare bene sui muri olandesi, perché ha ritrovato se stesso dopo un periodo sfortunato, perché la strategia di corsa della squadra gli offre ottime possibilità. Non vince perché stare bene non sempre significa poter puntare al massimo.
Michael Matthews. Vince perché in questa corsa c’è già andato vicino un paio di volte, perché è uomo che resiste sugli strappi e può castigare tutti in volata, perché dopo aver fatto bene a Sanremo e Fiandre è stanco di incassare solo complimenti. Non vince perché gli manca sempre un centesimo per arrivare all’euro.
Michael Valgren. Vince perché è l’unica classica in cui è riuscito a farlo, perché su percorsi del genere sa tirare fuori il meglio, perché nella Ef sembra l’unico al momento a poter regalare un risultato importante. Non vince perché fin qui in stagione è andato bene, ma non benissimo.
Matteo Mohoric. Vince perché ha il terreno adatto per muoversi in anticipo, perché sulle strade del Nord finora è andato forte, perché quando conquisti la Sanremo sai di esser da corsa anche in una classica come questa. Non vince perché avere già una corsa monumento in bacheca inconsciamente toglie un po’ di fame.
Valentin Madouas. Vince perché il podio al Fiandre regala una spinta enorme, perché insieme al danese Kraigh Andersen è di quelli che al Nord vedi sempre davanti, perché dopo tanta semina qualcosa vuole raccogliere. Non vince perché collezionare buoni piazzamenti non dà la certezza del successo.
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