A quasi un mese dal suo terribile incidente Egan Bernal ha aperto le porte della sua casa e del suo cuore alla rivista Semana, a cui ha raccontato i momenti più drammatici, e anche più felici, vissuti in questo percorso. Il vincitore del Tour de France ha ricordato quei lunghi minuti in cui era a terra e attendeva l’ambulanza e poi il suo risveglio in ospedale.
Bernal nel suo racconto ha ricostruito ogni istante del suo calvario, partendo dal momento in cui è arrivato il medico della squadra che sulla strada ha stabilizzato la frattura del femore attraverso una specifica manovra e poi l'intervento dei suoi compagni di squadra, che gli hanno fatto da muro impedendo alla gente accorsa, di riprenderlo mentre era in un momento così privato, in cui implorava aiuto per placare il dolore.
«Ero sulla bici da cronometro insieme agli altri ragazzi della squadra - ha spiegato Bernal - stavo andando a 58 chilometri orari. Poi ho iniziato a aumentare ed era 59, 60, 61, 62 e quando ho visto quella velocità è stato il momento in cui mi sono schiantato contro l'autobus».
Il campione della Ineos Grenadiers ha raccontato del terribile dolore, il più forte mai provato nella sua vita e di come abbia implorato sia il medico della squadra che poi il personale dell’ambulanza di addormentarlo. «Ricordo che non riuscivo a respirare, ma pensavo che fosse normale in quel momento e cercavo di mantenere la calma, ma l’aria non tornava e sentivo che stavo per svenire. Volevo farmi togliere il casco ma il nostro medico non ha voluto e ho capito che dovevo ascoltarlo. Ero ancora con un piede attaccato alla bici e la gamba mi faceva malissimo e quando l’ho vista beh..., c’era l’osso che era venuto tutto fuori e ho capito di aver rotto il femore. Mi hanno sistemato l’osso e ho sentito un dolore lancinante, ma penso che questa manovra mi abbia permesso di perdere meno sangue e arrivare in ospedale in una situazione meno grave. Ricordo il dolore di quei momenti e chiedevo continuamente qualcosa che lo placasse, ma ho dovuto attendere l’arrivo in ospedale».
Quando è arrivato in clinica Bernal ancora non aveva compreso la gravità e anche la complessità dei danni subiti. La sua famiglia e la sua fidanzata li ha incontrati mentre andava in sala operatoria ed era lui che cercava di tranquillizzarli. Il risveglio in terapia intensiva, quello è stato il momento in cui Egan ha compreso la gravità del suo incidente. « Ricordo che mi chiamavano e mi sono svegliato, e che la prima cosa che mi hanno detto è stata: riesci a muovere le gambe? Quando me lo hanno chiesto, ho pensato che l'operazione non riguardasse solo il femore. Poi ho cominciato a muovere le gambe e hanno cominciato a toccarmi e a chiedermi: tu senti questo? Tu senti quest'altro? Quando sono andato in sala operatoria non sapevo cosa mi attendesse e non immaginavo di avere una frattura cervicale. I medici mi hanno allora spiegato che ero un sopravvissuto, che era stato un miracolo che fossi arrivato vivo in ospedale e che un nuovo miracolo era stata la riuscita del mio intervento, perché avevo il 95% di possibilità di rimanere tetraplegico. I medici sono stati bravissimi perché poche volte questo tipo di interventi riesce pienamente come è capitato a me».
La forza di Bernal è stata la sua famiglia, che gli è sempre stata vicino e di cui il colombiano ha capito il senso di impotenza di fronte al suo dramma. «Devo dire grazie alla mia famiglia e alla mia fidanzata Maria Fernanda che mi sono sempre stati vicino. Sentivo il loro dolore, che anche se non era fisico come il mio, era ugualmente molto forte. Mia madre mi è stata molto vicina così come mio padre e vedevo il loro senso di impotenza nel vedermi in quel letto».
Bernal ha iniziato subito a dare segni di miglioramento, ma sa perfettamente che il suo percorso sarà lungo e completamente in salita. Questo non spaventa il vincitore dell’ultimo Giro d’Italia, perché ama il ciclismo e sa di essere stato fortunato e che per lui adesso è iniziata una seconda vita. « Sarà un processo molto lungo, ho già attraversato una fase molto difficile, ma ci saranno altre fasi che richiederanno tutta la mia pazienza e che saranno piuttosto dolorose e questo mi preoccupa, ma so che devo essere grato per questa opportunità. Voglio tornare al mio stato migliore, ho fiducia, non so perché, ma penso di potercela fare e penso che sarà tutto sommato un processo veloce. I medici mi rimproveravano quando dicevo loro che sarebbe stato veloce, so che non posso dire se sarà un anno, dieci anni, sei mesi o tre mesi. Se vuoi raggiungere la luna devi puntare al sole e io lo sto facendo. Sono un ciclista, se non salissi più su una bicicletta non saprei cosa fare. Sicuramente inizierei a fare altro, ma in questo momento mi sento un ciclista, mi sento un atleta e per me il ciclismo è il mio stile di vita».
Mentre era in ospedale Bernal ha capito che non esistono colpevoli in questa vicenda e l’aver ricevuto il calore e le preghiere di un intero Paese, la Colombia, per lui è stata una vera terapia.
«In questo momento, l'ultima cosa che voglio è incolpare qualcuno, non voglio dare colpe a me stesso o all'uomo sull'autobus e vorrei dire che mi sento super orgoglioso di essere colombiano, sono state tante le preghiere che la gente ha fatto per me. Penso che questo genere di cose, come recitare un rosario per un ciclista X, che non si conosce ma che viene considerato un bravo ragazzo, sia un qualcosa di unico e che accade forse solo in Colombia. Spero un giorno di restituire tutto questo affetto e spero di poterlo fare in bici in una gara».