Giovanni Borghi, prima di diventare il padrone dell’Ignis (e della colonia Ignis di boxe, e della società Ignis di basket, e della squadra Ignis – e anche Fides – di ciclismo), era il Commenda de l’Isola, il commendatore dell’Isola, un quartiere popolare di Milano dietro la Stazione Garibaldi.
Era il 1953 quando nacque la leggenda del Filippo il barbee. Filippo Giancola all’anagrafe, era un ragazzino sveglio, che lavorava come garzone in un salone da barbiere a Vasto, in Abruzzo al confine con il Molise, quando un camionista di passaggio a Vasto e diretto a Milano si fece tagliare i capelli proprio da lui. E soddisfatto della precisione e della cura, gliela buttò lì: “Bravo fioeu, te lavoret propi ben... Quasi quasi te portaria a Milan”. Ad andare a Milano ci pensò lui, il Filippo, da clandestino, nascondendosi sul rimorchio del bestione e scendendone a destinazione Madonnina. La sorprresa fu enorme: “Ma ti te see el garzon del barbee, quell de Vasto... Adess sì che semm in di rogn”. Invece il ragazzino fu subito adottato: prima gli si trovò un posto dove dormire, poi un posto dove lavorare. Nel negozio di barbiere tra le vie Borsieri e Porro Lambertenghi, lì all’Isola.
Il primo cliente del ragazzino fu il Barattina, l’autista del Commenda. Il giudizio fu eccellente. Con il risultato che il Filippo venne più o meno assunto, i carabinieri avvisati della nuova situazione, i genitori tranquillizzati e bonificati con la paga del figlio. E la storia del Filippo fece il giro dell’Isola. A servirsi della sua arte furono, tra gli altri, l’attore Gino Bramieri, il gruppo musicale dei Brutos e il campione di motociclismo Nello Pagani, che gli regalò la possibilità di fare un giro del circuito di Monza su una Mondial. Ma a prenderlo in simpatia fu soprattutto Giovanni Borghi: ogni volta che si faceva dare una spuntatina, o una regolatina, o un servizio completo barba e capelli, pagava cento lire per il lavoro e ne sganciava cinquecento di mancia. E una volta, ritenendo che l’abbigliamento del Filippo non fosse all’altezza della sua bravura, lo spedì da Ariatti, negozio di abiti confezionati, per rifarsi il guardaroba, dalla testa ai piedi. E così il Filippo divenne, di punto in bianco, “el bauscia pussee intappaa de l’Isola”.
Milano aveva il cuore in mano. E in un ricordo di quei vecchi tempi, Sergio Codazzi – il suo “percorso lavorativo": attrezzista, tornitore, volontario nei Vigili del fuoco, artificiere nell’Artiglieria Folgore, artigiano tipografo ed editore -, memoria storica dell’Isola, commentava: “Inscì aveghen de gent che riva a Milan come lu, el Filipp Giancola che quei vegg de l’Isola ciamen ancamò con amor e rispett: teron”. Avercene di gente che arriva a Milano come lui, il Filippo Giancola che quei vecchi dell’Isola chiamano ancora con amore e rispetto: terrone.
(fine della seconda puntata – fine)
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