Bruno Reverberi, decano dei direttori sportivi e dei team manager del ciclismo, è pronto, prontissimo, a vivere una nuova stagione. La numero 41 della sua carriera. Da quando cioè, nel 1982, tenne a battesimo la Termolan, con maglia bianca a scacchi rossoblù, sponsor Galli e un 21enne Davide Cassani in organico. Oggi Reverberi, insieme al figlio Roberto entrato nel team negli anni Novanta, è al comando di quella che, dopo tanti cambi di nome, si chiama saldamente Bardiani Csf Faizanè, di color ciclamino vestita, sempre pronta ad attaccare in gara e lanciare corridori nel panorama internazionale.
Reverberi, ci descrive la sua emozione, a 79 anni, nel trovarsi ancora a fare il bilancio una stagione, chiudere il mercato, preparare la prossima...
«Come ai primi tempi, l'entusiasmo è uguale. Con più esperienza, si tribola meno, la passione mi tiene sempre "sul pezzo"».
È soddisfatto dell'annata appena trascorsa?
«Sì, ci è mancata la ciliegina sulla torta di una vittoria di tappa al Giro, ma siamo stati protagonisti: tanti piazzamenti nei primi dieci e 9 vittorie, magari in corse non di grandissimo valore, ma siamo sempre stati competitivi. Peccato per i problemi fisici di Visconti, ma siamo soddisfatti».
Come commenta il mercato che avete appena effettuato per il 2022?
«Abbiamo deciso di allestire un organico giovanissimo, sia di professionisti che di Under 23 per poter partecipare coi giovani a diverse corse internazionali e soprattutto al Giro U23. Per quanto riguarda i più maturi, vedremo di volta in volta chi merita di andare alle corse maggiori. Dalla scorsa stagione abbiamo tenuto quelli che si sono dimostrati più competitivi e che ci danno più garanzia. Quest'anno sono 25 gli atleti tesserati: 12 sono neopro, gli altri 13 sono ragazzi in grado di comporre sempre formazioni competitive. Con un'età media di 23 anni, e a quell'età sei ancora giovane. Abbiamo preso alcuni dei migliori juniores sulla piazza...».
... e per chiudere in bellezza, anche un veterano come Sacha Modolo!
«Un uomo che ha sempre voglia di fare, lo conosciamo bene dato che l'abbiamo lanciato noi ad alti livelli. Ideale per il prossimo Giro, che prevede molte tappe di pianura, e anche in quelle miste lui si difende. Oggigiorno non ce ne sono mica troppi di velocisti vincenti, e chi ce li ha se li tiene».
Ecco, come valuta il percorso del Giro d'Italia 2022?
«Duro e selettivo, con salite impegnative. Meno cronometro e tanta altura, e meno vie di mezzo: o tanta pianura o tappa molto dura. Un bel Giro, e sarà interessante vedere quali campioni ci saranno e chi terrà la corsa».
Che Bardiani vuole vedere nella prossima stagione?
«Si cerca sempre il meglio per accontentare anche gli sponsor e tenere alta la visibilità. Tra i team attualmente in attività, siamo quello con più vittorie totali al Giro, 31, e la ciliegina sarebbe proprio tornare a vincerne una. Sarebbe come pagare una cambiale: in fuga ci facciamo sempre vedere, ma la vittoria è la vittoria.»
Già, la Bardiani Csf Faizanè è una squadra che va sempre all'arrembaggio, rispecchiando peraltro il suo carattere vulcanico. Lei l'anno scorso tuonò in diretta Rai, durante la famigerata tappa di Abbiategrasso dimezzata dalla protesta dei corridori, che le squadre sono "serve dei corridori, soggiogate da questi ultimi": ci spiega meglio?
«I direttori sportivi oggi fanno a gara per imbonirsi i campioni, non vogliono contrastare con loro, e se il campione dice "facciamo sciopero" non si parte. Il diesse ormai non ha più l'autorevolezza per dire "no, si fa come dico io". Questo perché, soprattutto nel World Tour, i direttori sono in 6-7 e tanti magari sono ancora a piedi, e per non rischiare di perdere il posto di lavoro assecondano i corridori. Un tempo c'era solo un direttore, che aveva certe responsabilità nei confronti degli sponsor, che decideva chi prendere e quanto dovevano guadagnare gli atleti. Quando Saronni in un'assemblea disse che molti diesse facevano praticamente gli autisti, i direttori si arrabbiarono: solo in pochi allora erano al servizio dei corridori. Ma c'era un'altra personalità.»
A proposito di contrasti squadra-corridore, cosa è successo davvero con Kevin Rivera?
«Non aveva voglia di correre, il problema era tutto lì. Dopo aver avuto il Covid a inizio stagione andava piano, aveva pure problemi con la fidanzata e gli dava fastidio stare lontano da casa. L'abbiamo agevolato in tutti i modi, gli abbiamo dato la possibilità di riposarsi e non fare il Giro, per potersi preparare al meglio in vista delle Olimpiadi. Quando finalmente si sarebbe dovuto ritrasferire qua da noi in estate, ha detto che non se la sentiva e ha chiesto la liberatoria. Mi è subito sembrato strano, era troppo tranquillo nel voler rescindere il contratto: sono convinto che avesse già firmato con altri perché qui non aveva tanto scampo. Noi non vogliamo tenerci corridori senza voglia di correre: o lo dici subito o stai a casa! Il nostro errore è stato non informarci bene su di lui prima di ingaggiarlo».
Passando a situazioni belle, anzi bellissime: cos'ha provato quando ha visto un suo allievo, scuola Colnago/Bardiani, come Sonny Colbrelli conquistare tutti questi successi?
«Che soddisfazione, mi sono commosso! Lui è una gran cara persona con cui sono in ottimi rapporti, anche con la famiglia. Ogni tanto quando sbagliava qualcosa in questi anni gli ho telefonato e non gliele mandavo certo a dire. Vedere tante corse vinte così bene da Sonny è stato come vedere Giulio Ciccone vestire la maglia gialla al Tour de France 2019: sono le soddisfazioni del nostro lavoro, anche se queste vittorie le conquistano per altre squadre. Saper pescare bene i corridori quando sono ancora giovani e non sono conosciuti ai più, questo è il nostro merito».
In generale, in 40 anni suonati di carriera qual è il corridore a cui è rimasto più legato?
«Mi vengono subito in mente Davide Cassani e Fabrizio Guidi, tutti ragazzi bravi come anche Stefano Zanini. E poi nei tempi recenti i tre già citati: Colbrelli, Ciccone, Modolo».
Domanda conclusiva, al limite tra personale e professionale: com'è lavorare insieme al proprio figlio?
«A volte può essere un problema perché, non solo nel lavoro, può crearsi magari la "guerra padre-figlio" come in ogni famiglia. I giovani pensano sempre di capirne più degli altri e fatichi a farli pensare come la pensi tu. Ciò detto, i rapporti sono buoni e Roberto è un diesse che la corsa tatticamente la vede come pochi! Certo, a volte si vorrebbe vedere più impegno nel resto, che la squadra non va avanti da sola e bisogna darsi da fare per trovare sponsor ecc ecc..».
Un incitamento, quest'ultimo, che fa venir voglia di mettersi gambe in spalla e pedalar... pardon, lavorare, qualsiasi sia la nostra occupazione. Parola di papà. Anzi, di zio. Zio Bruno Reverberi.