La stagione agonistica si è appena conclusa e ancora una volta chiediamo ai lettori di esprimere il proprio voto per eleggere il miglior tecnico italiano della stagione. Insieme ad alcuni grandi saggi, abbiamo selezionato una rosa di sette tecnici per la votazione che si apre oggi, ad un mese dalla cerimonia di consegna, la Notte degli Oscar in programma il 26 novembre: potete votare sulla home page del sito, trovate il sondaggio nella parte di destra dello schermo, e avete a disposizione un voto al giorno. A partire lunedì 25, quindi, vi proporremo in rapida successione le interviste ai sette tecnici - in ordine alfabetico Baldato, Bramati, Missaglia, Pellizotti, Piva, Villa e Zanatta - per conoscere le loro valutazioni sulla stagione e aiutarvi nella scelta. I vostri voti verranno poi sommati a quelli di una giuria di esperti per arrivare all'assegnazione dell'Oscar tuttoBICI 2021. Oggi riflettori puntati su Gabriele Missaglia.
Milanese di Inzago, 51 anni, da corridore vinse, tra le altre, una tappa al Giro d'Italia a Camaiore e il Tour de Langkawi con la Mapei, e una Classica di Amburgo con la Lampre. Come direttore sportivo ha lavorato per quasi un decennio in CCC, prima della chiusura dei battenti dell'anno scorso. In questa stagione l'abbiamo visto nelle ammiraglie della Qhubeka, una delle squadre meno quotate del World Tour (peraltro a rischio iscrizione anch'essa!). Lui è Gabriele Missaglia, l'uomo che con le sue indicazioni ha guidato Giacomo Nizzolo all'agognato successo di tappa al Giro, nella volata di Verona. E che nella stessa Corsa Rosa ha ottenuto altre due vittorie di tappa, con Mauro Schmid a Montalcino e Victor Campenaerts a Gorizia.
Un tris al Giro che, in attesa di capire quale sarà il suo futuro da diesse, è valso a Missaglia la nomination per gli Oscar TuttoBici 2021
Innanzitutto, ci racconta dal suo punto di vista questo importante Giro 2021?
«Nelle settimane precedenti alla corsa ero convinto al 100% che almeno una tappa, se non due, le avremmo portate a casa. Ma addirittura tre, è stato fantastico! Per quanto riguarda Nizzolo, anche prima di essere il suo direttore l'ho sempre seguito e conosco i sacrifici che ha fatto per arrivare a questo livello, e sapevo che era in una fase di miglioramento: si è ormai trasformato in un uomo anche da classiche e sapevo che, dopo tutti quei secondi posti in carriera (9, poi divenuti 11 nella prima settimana del Giro, ndr) avrebbe conquistato una tappa. Ed ero straconvinto pure che ne avrei vinta una con Campenaerts. La sorpresa è stata Schmid. E pensare che ho dovuto lottare col management del team per portare Mauro al Giro! Altri colleghi lo ritenevano ancora troppo giovane. Alla fine però, in qualità di primo direttore per quella corsa, ho preso la decisione di portarlo e sono felicissimo di cosa è riuscito a fare: la sua è stata una delle vittorie più spettacolari di tutto il Giro. Ed essendo stata la prima per noi, ci ha sbloccati e motivati. La prima settimana si era conclusa con la caduta del nostro uomo classifica Pozzovivo. Grazie allo spirito di squadra, abbiamo trasformato quella sfortuna e quel disagio in risultati super eccellenti nella seconda settimana: Schmid, Nizzolo e Campenaerts... Mica facile festeggiare quasi tutte le sere, ma ne è valsa decisamente la pena!»
E che liberazione per Nizzolo sfatare il tabù...
«Giacomo non era arrivato al Giro nella migliore condizione, e durante la prima settimana abbiamo contrastato un po'. Discutendo, sono riuscito a fargli tenere la concentrazione e fargli capire che la forma sarebbe arrivata. Di quel 21 maggio, poi, ricordo ancora il meeting della mattina: io do gli ordini ai corridori, i compagni danno morale al capitano dicendo "noi siamo con te" e lui ribatte "io sarò pronto". Appena prima di partire cambiamo rapporto: davanti montiamo un 56. Conosco bene Verona e quell'arrivo, sono certo che con quel rapporto andiamo a fare la differenza. E così accade, che soddisfazione per tutti noi!»
Lei quest'anno è stato anche il diesse di Fabio Aru nel suo ultimo anno di carriera...
«Esattamente, sono stato il suo direttore di riferimento. Suo come di Henao, Pozzovivo, Wisniowski che avevo già in CCC, Pelucchi... Con Fabio abbiamo svolto un ottimo lavoro, pur tra tante difficoltà: da minimo tre anni non otteneva un podio e insieme abbiamo fatto qualcosa di buono. Dopo la debacle ai campionati italiani, in cui pensavamo potesse far bene, abbiamo totalmente voltato pagina. L'abbiamo escluso da Tour de France, di comune accordo, e l'abbiamo mandato a corse come il Sibiu, in cui ha fatto un ottimo 2° posto dietro ad Aleotti (che peraltro l'anno scorso aveva già firmato con la CCC) e 2° anche alla Burgos, di livello ben più alto, alle spalle di Landa. Il suo addio al termine della Vuelta non mi ha lasciato contento. Si tratta di una decisione rispettabilissima, che però avrei voluto sapere prima di tutti. E in generale tante persone dentro la squadra l'hanno saputo "tardi". Dispiace per il tempo e le energie messe da entrambi per tornare a fare risultati importanti. Al posto suo non avrei smesso, comunque ora gli auguro di fare qualcosa di bello e che lo gratifichi.»
La più grande soddisfazione che si porta dentro da questa annata?
«L'esperienza in una squadra animata da uno spirito differente da tutte le altre. Devo dire grazie a Qhubeka e a Douglas Ryder per avermi offerto questa possibilità dopo che la crisi-covid aveva posto fine alla CCC. Qui si crea una vera famiglia: il concetto di Ubuntu (I am because we are, "io sono ciò che sono per quello che tutti noi siamo") è assolutamente reale, una mentalità speciale che dà morale e crea legami. E che si esprime anche attraverso il bene che facciamo in Africa, donando le bici ai bambini per i loro spostamenti. Vederli guardare la bici la prima volta, imparare ad andarci, metterci molto meno tempo per andare a scuola... ti si apre il cuore! E chissà che così non si formino anche bravi ciclisti»
Quale ritiene essere la sua più grande qualità come diesse?
«Tirar fuori il massimo dal materiale che ho, facendo tanto gruppo. Grazie agli insegnamenti dei direttori sportivi che ho avuto da corridori, soprattutto Pietro Algeri. Tornando al discorso di prima, do tutto me stesso per creare una famiglia. A volte sono forse fin troppo "amico": i corridori sanno che possono parlare con me anche dei loro problemi personali, e sanno che rimane tra me e loro. In questo modo si gioisce e si reagisce meglio. Per me al primo posto viene il livello umano: si rimane amici anche se non la si pensa allo stesso modo. Ma se mi fai uno sgarro, non me lo fai una seconda volta.»
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