Caro Direttore,
è inutile farla tanto lunga: come tutte le cose, anche il Ciclismo cambia. Dicono si chiami progresso, e ci può stare. Al contempo, ne cambiano i personaggi , quelle che mi sento di definire le firme d'autore. Dal momento che ho una particolare opinione, e speciale considerazione, per quello che mi ostino a considerare non un semplice Sport ma una Disciplina Sportiva, confido che nessuno se n'abbia a male se dico che, per certi versi, si andava meglio... quando si andava peggio. E' il mio pensiero, che, non foss'altro per gli anni che mi ritrovo sulle spalle ma che ancora non hanno per nulla intaccato il cervello, potrei tranquillamente argomentare e anche dettagliatamente motivare. Insomma, la dico tutta: pur apprezzando il Ciclismo del terzo millennio e plaudendo tutti coloro che ne fanno scelta di vita professionale, ho una maledetta nostalgia di quello che, senza doverci girare troppo intorno, molte anime belle e pure ritengono "...quel Ciclismo... di quegli anni", maledetto anch'esso.
Non intendo di certo incensare coloro che hanno innegabilmente fatto entusiasmare intere generazioni, però ricordo, a me stesso per primo, che un Tizio che la sapeva lunga ebbe a dire, prima che lo inchiodassero ad una Croce, che "chi è sensa peccato, scagli per primo la pietra".
A proposito di pietre, reputo che oggi meritino un rinnovato attestato di grande stima e un forte applauso due uomini che, per il Ciclismo (e non solo per il Ciclismo), sono proprio due "pietre miliari": Gianni Bugno e il mai abbastanza compianto Alfredo Martini. Trenta anni fa (fugge il tempo, lui sì... maledetto), il 25 agosto 1991 riportavano in Italia la più bella delle Maglie che un Corridore possa indossare: quella dei colori dell'iride, di Campione del Mondo. Chi sa di Ciclismo non ha certo bisogno che si rappresentino queste figure, ai confini del... mitologico, e comunque entrate a pieno titolo e per inequivoci meriti nella Storia del "nostro" sport.
Per... grazia ricevuta, ho il privilegio di un "foglietto", a firma Alfredo Martini, che dice tutto su cos'era quel modo di fare Ciclismo. Puntiglio, meticolosità, precisione, fiducia, in se stessi e negli atleti dei quali, strategicamente ma altresì umanamente, si dirigevano le operazioni.
Aggiungiamoci la passione, l'amore incondizionato per quanto si sta facendo, la serietà nel proprio lavoro. Se qualcuno l'avesse dimenticata, un'altra pietra che è fondamento non solo della Disciplina del Ciclismo, ma della stessa quotidianità della vita.
Ancora GRAZIE.
Cordialmente
Fiorenzo Alessi