Caro Direttore,
so bene che uno dei miei più grandi vizi, che mi costerà caro quando dovrò renderne ragione al Grande Capo, è quello di dire ciò che penso. Ovviamente, sforzandomi di ragionare e riflettere almeno un po' sopra al tema oggetto di discussione. E assumendone ogni eventuale responsabilità, apponendo in calce il mio preciso nome e cognome e, come suol dirsi, mettendoci la faccia, bella o brutta che sia.
In questo caso, trattandosi di Ciclismo, disciplina sportiva ma soprattutto di vita della quale tu stesso mi hai onorato dell'appellativo di "inguaribile innamorato", ho voluto che passasse la nottata, anzi due. Francamente, è servito a ben poco. Resto dell'avviso che lunedì, in occasione di quella che avrebbe dovuto essere una tappa regina del Giro d’Italia, chi ha rappresentato i Corridori abbia dato, nonostante la pioggia, una dimostrazione solare di come basti davvero poco per passare... dalla ragione al torto. In questo caso un torto marcio, di quelli che ti fanno credere che, anzichè l'appropriato utilizzo del cervello unitamente al confronto e a una realistica condivisione d'intenti, abbiano ormai preso le redini l'ignoranza e insieme una patetica presunzione, condita da un pizzico di arroganza.
Si è abbondantemente detto e altrettanto copiosamente scritto, che la direzione del Giro abbia assunto l'accorciamento della tappa "...per la sicurezza dei corridori...", ma "... corridori e manager hanno sostenuto che non c'erano le condizioni per giustificare un simile provvedimento...". Maliziosamente, ma sicuramente, lo sciagurato "antefatto" di Morbegno del Giro 2020 ha segnato un gran brutto precedente. Si è data allora l'idea, e lunedì se ne è avuta conferma, che non solo i Corridori "facciano" la corsa, com'è nei fatti che sia, ma che possano anche determinarne i modi e pure i tempi, trascurando quella che è una realtà storica del loro mestiere e, semmai servisse a peggiorare le cose, facendosi beffe sia dei protocolli regolamentari che, questo è, di tutto il lavoro anticipatamente programmato, concordato e fatto per la realizzazione dell'evento Ciclistico.
Per il rispetto che porto a tutti coloro che hanno scelto di dedicare i migliori anni della propria vita alla professione del Ciclismo, vivendo di un mestiere non certo per mammolette in cui parole come sacrificio e sofferenza hanno un significato non solo suggestivo, non posso e non voglio credere che i Corridori si siano ridotti a questo! Gli stessi attori-protagonisti, senza andare troppo indietro nel tempo, della tappa di Montalcino, di certo impegnativa e rischiosa anche senza il maltempo che, invece, costituiva a Cortina un'inevitabile "aggravante" del contesto agonistico, non possono essere state le stesse persone che, ad evitare le fatiche ed il rischio (certo che c'era, vivaiddio, come per chi pratica il pugilato, o lavora in fonderia) di affrontare montagne sacre del Ciclismo, hanno opposto il veto all'integrale e prestabilito percorso di gara.
Almeno ditemi che, com'è sovente spacciata per democrazia ciò che altro non è se non un mix d' inettitudine ed ostinata presunzione, il volere ottuso di pochi ha prevalso sul silente consenso della maggioranza dei Corridori. E, per carità, ditemi anche che coloro che hanno "sindacalmente" combinato questo catafascio sono soggetti che con il Ciclismo, quello vero e grande, non hanno mai avuto a che fare.
Voglio, lo dico con il cuore ma anche razionalmente, che il ciclismo resti quello che Maurizio Fondriest, Campione del Mondo di quel Ciclismo che alcune anime belle faticano a ricordare, ha così meravigliosamente e semplicemente definito: "E' lo sport più duro, ma ti insegna a vivere: il ciclismo ti fa capire che la vita non è proprio facile".
Cordialmente.
Fiorenzo Alessi