Una volta, fino a qualche decennio fa, nel ciclismo, così come in tutte le discipline sportive, era il massaggiatore, senza altre specializzazioni o definizioni riferibili a differenti figure professionali create e cresciute in tempi più recenti, che si occupava esclusivamente d’allisciare i muscoli degli atleti affidati alle loro cure nelle varie fasi agonistiche o in quelle di recupero da infortuni vari. Una figura importante che, sovente, associava e riassumeva nella capace percettiva funzione, pure quella, a metà strada fra il confessore e lo psicologo, con il masseur, detto alla francese, definizione invalsa e frequentemente usata nel passato, che oltre ai muscoli sapeva anche – se del caso – massaggiare l’anima.
Nel passato, nel professionismo di vertice, esisteva in pratica un solo gruppo di corridori con un’unica squadra che si cimentava in un’unica, o quasi, attività con tutti i suoi corridori e il medesimo “gruppo” del personale. La proliferazione del calendario, il fenomeno della mondializzazione, specialmente per il ciclismo di vertice, ha determinato la necessità d’allargare, oltre ai numeri dei componenti la squadra, anche quello di vari addetti ai lavori, dai direttori sportivi, ai meccanici, ai preparatori, agli addetti alla comunicazione e figure ausiliarie di varia tipologia.
Torniamo però ai massaggiatori, molti dei quali, con nomi e volti assai noti, sono legati a doppio filo e integrano la storia, soprattutto quella dei campioni affidati alle loro mani – letteralmente - in profusione copiosa e parecchi di questi, dopo esperienze anche di vertice nel mondo ciclistico, hanno operato sempre a livello alto pure in altri sport.
Potrebbe essere un esempio di tale tipologia il milanese Velio Astori, nato il giorno di Natale del 1937, a Corsico, il medesimo comune della prima cintura milanese di cui è originario Carlo Galetti (1882-Milano 1949), soprannominato “lo scoiattolo dei Navigli”, vincitore, fra l’altro, di tre Giri d’Italia, con un “filotto” continuato nel 1910, nel 1911 e nel 1912 con la squadra Atala, nell’unica edizione della corsa disputata con la formula a squadre. Dopo l’attività pedalata è stato titolare di un’azienda tipografica. A proposito del nome Velio neppure il suo titolare conosce i motivi della scelta dei suoi genitori.
Come moltissimi giovani dell’epoca prova a gareggiare in bicicletta indossando la maglia del G.S. Corsico e sotto la guida del concittadino e meccanico ciclista Mario “Mariett” Milesi, recentemente scomparso. Nonostante il fisico aitante e la passione, i risultati – o meglio la loro mancanza – determinano ben presto Velio Astori a riporre nel cassetto anche i più moderati sogni pedalati, senza soverchi rimpianti. Porta però a termine il corso di studi per massaggiatori e nel 1962 fa il suo esordio professionale di masseur con la squadra milanese della San Pellegrino dove, dopo due anni alla Legnano, è approdato Franco Cribiori, l’allora “biondino di Corsico”, ottimo professionista dal 1960 al 1968, poi affermato direttore sportivo di formazioni vincenti subito dopo, fino al 1989. Seguono altre esperienze poi di commentatore e consulente televisivo, in emittenti di primo piano, con la sua competente, chiara, diretta, anche pungente talvolta, dialettica inconfondibile caratterizzata dalla personalissima pronuncia della consonante r, a metà strada fra la dizione francese e quella piacentina. Persona che continua sempre a “girare con la Ferrrari”, come usa dire, riferendosi al cognome della consorte, con molte r per di più, dice con la sua garbata ironia, rispondendo dal suo buen retiro fra i boschi del basso varesotto, dove abita da molto tempo.
Il giovanotto Velio Astori è in gamba e con un valido approccio interpersonale, sia nelle sue funzioni propriamente professionali con le mani che esprimono sapiente forza nel massaggio grazie anche alla sua prestanza fisica e pure nelle numerose situazioni dove il massaggiatore, soprattutto allora, doveva trovare anche improvvise, rapide ed estemporanee soluzioni di tipo logistico, sia per il reperimento e la sistemazione delle camere e la pronta disponibilità della cucina degli alberghi per favorire le particolari esigenze, anche alimentari, dei corridori.
E Velio Astori ha ”fatto ballare gli occhi”, come si dice, subito per capire come agivano in materia i colleghi più esperti e metterlo in pratica con immediatezza, con il suo elegante e sorridente “savoir faire” che gli era – e tuttora è – naturale e distintivo già ai suoi esordi nella professione.
L’anno seguente passa con il concittadino Franco Cribiori alla Gazzola e dopo un biennio, sempre con il “biondino”, alla veneta Vittadello, dove gareggia anche un altro amico milanese, l’oro dell’inseguimento a squadre di Roma 1960, Marino Vigna. E' coinvolto nell'effimera esperienza alla Salamini nel 1967 per poi passare così come Adorni e altri, alla Faema/Faemino, l'anno successivo.
E qui ritrova Marino Vigna, nel ruolo di direttore sportivo, dove opera pure il meccanico “Mariett” Milesi, oltre a un “certo Eddy Merckx”, a Italo Zilioli e diversi altri corridori di primo piano in composita alternanza fra italiani e belgi.
Nel 1969 Velio Astori passa alla neonata Scic di Parma, al seguito dell’iridato Vittorio Adorni, squadra d valore guidata in ammiraglia da Eraldo Giganti ed Ercole Baldini, una formazione con la maglia bianco-nera che curava già parecchi dettagli della nascente cura della “immagine”, anche in ambito ciclistico. E Astori, in quest’ambito, nella cerchia dei massaggiatori e del personale ausiliario, è stato un po’ .
Il suo ultimo periodo ciclistico l’ha visto lavorare per la Furzi-FT, formazione toscana diretta dal Carlino Menicagli e che aveva il forte brianzolo Tino Conti quale leader, quando la prospettiva di cambio di sport era già nella mente di Velio Astori. E per i due anni successivi presta la sua opera nello sci di vertice, ai tempi della celebre “valanga azzurra”, così denominata dal giornalista, firma anche della rosea, Massimo Di Marco, dopo la straordinaria impresa azzurra del 7 gennaio 1974 quando, in un importante “gigante” in Baviera, ben 5 azzurri si classificarono ai primi 5 posti. Nell’ordine furono Piero Gros, Gustav Thoeni, Erwin Stricker, Helmuth Schmalz e Tino Pietrogiovanna. E la valanga azzurra, con altri campioni come Radici e, per la quota al femminile, ossia la valanga rosa, dove spiccano i nomi di Claudia Giordani, Maria Rosa Quario, Daniela Zini, Paoletta Magoni, “firmano” gli anni ’70 quasi per intero. La guida carismatica era quella di Mario Cotelli, affiancato da un altro valtellinese, Oreste Peccedi.
Anni che ricorda con piacere Astori ma, pure qui, il girovagare per il mondo, fra gare e allenamenti, non è secondo al ciclismo, seppure in stagioni diverse.
E la lontananza da casa dalla famiglia, ha un peso decisivo nella decisione di passare al calcio. E per vent’anni è con i biancorossi del Varese Calcio, squadra che ha conosciuto anche la serie A e poi un lungo periodo di serie B e anche più giù invero, con il campo di gioco di Masnago contornato da una pista in cemento legata a molti eventi ciclistici di primo piano. E a Varese abita con la famiglia.
Una scelta propria di altri suoi colleghi e, fra questi, quasi in contemporanea, dal varazzino Gerolamo Craviotto, quasi coetaneo, il famoso e compianto “Carbunin” (Carboncino) per l’attività di famiglia di vendita di carbone e legna per riscaldamento – e pure di massaggio sportivo - ereditata dal padre Giovanni che operava sui muscoli, anche di campioni, in ritiro collegiale a Varazze. A Carbunin, massaggiatore di formazioni con campioni di rilievo del ciclismo fino alla metà degli anni 1970, poi approdato al football con il glorioso Genoa, prematuramente scomparso nel 1997, Varazze ha intitolato il suo palasport e una via.
Velio Astori ricorda con orgoglio la sua attività negli anni e, soprattutto, quelli della sua giovinezza marchiata dal ciclismo e pure dagli insegnamenti di vita che gli sono derivati e di cui ha beneficiato.
Nella foto: Sei Giorni di Milano 1964, da sinistra Vigna, Cribiori, Milesi e Velio Astori.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.