Oggi avrebbe compiuto 97 anni. E quei sette anni in più non lo avrebbero cambiato: comunque istintivo, sempre diretto, ancora autoritario, a tratti diabolico nonostante gli occhi color della Bianchi.
Renzo Zanazzi era un diavolo di un corridore. Allievo quando la bicicletta era considerata un lusso, dilettante quando correre significava viaggiare, scoprire e sognare, professionista quando ne passavano solo tre o quattro l’anno, ai tempi di Bartali e Coppi quando il ciclismo era lo sport nazionale, invadeva la prima pagina della “Gazzetta dello Sport” e gracchiava attraverso le onde della radio.
Vincitore di tappe (tre) e titolare di maglie rosa (tre) al Giro d’Italia, rispetto ai suoi colleghi dell’epoca (quella definita romantica, anche se loro mangiavano la polvere e sputavano i polmoni) Zanazzi gode di un riconoscimento unico. E’ vero che nessuno gli ha intitolato un paese, come è successo a Coppi per Castellania. E’ vero che nessuno gli ha dedicato una piazza o una via, come è successo a Bartali e Binda, Bottecchia e Nencini. E’ vero che nessuno lo ha omaggiato con un museo, come è successo per Girardengo e Pantani. E’ vero che nessuno gli ha eretto un monumento, come è successo per Garin e Campana. E’ vero che nessuno lo ha nominato per una pista ciclabile, come è successo a Malabrocca e Martini.
Però per Zanazzi sono stati tracciati due percorsi dal Turbolento Thinkbike di Milano, di 62 e 90 chilometri, nel Milanese: le sue strade, quelle che faceva un giorno sì e un giorno no, uscendo da casa (via Lanino, zona Solari) in bici, entrando nella ciclabile sul Naviglio, emergendone a Corsico e poi immergendosi in quella ragnatela di stradine e viottoli degni del Giro delle Fiandre, e tornando per la diretta da Abbiategrasso dopo aver guadato il Ticino sul ponte delle barche o aver sfiorato l’abbazia di Morimondo, ma anche improvvisando qua e là a seconda dell’umore, del tempo e delle deviazioni per lavori in corso.
Renzo diceva che ormai era la bici a scegliere la strada, a guidarlo, a portarlo a spasso. Procedeva, anche a 80 anni, di buona lena, salvo infervorarsi, eccitarsi e dannarsi quando qualcuno lo superava mancandogli di rispetto. Allora si appiccicava alla sua ruota e non lo mollava finché “quello” non si rialzava esausto e sbigottito.
Impossibile che, nonostante la fuga eterna, Zanazzi sia veramente sparito. Lo immagino chino sul manubrio e robusto sui pedali, forse perfino travestito per non farsi riconoscere, la sua bici da corsa con le ruote piombate, la sosta alla ficaia, l’eroismo sul ponte contadino di pavè, il gran premio della montagna sul “muro” di Ozzero, la volata cieca davanti alla Canottieri.
Per i più tecnologici – Zanazzi andava, come suol dirsi, a memoria e a sensazioni – Turbolento Thinkbike ha memorizzato i percorsi, oggi disponibili anche su Komoot: Il giro di Renzo Zanazzi - 62km e I 90 di Zanazzi - 90km.
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