Ha la creatività degli architetti e il piacere di esplorare proprio dei cuochi stellati e non è un caso che Paolo Cazzaro, 50 anni vicentino, sia entrambe queste cose e non solo. È architetto, certo, ma ha anche la passione per la cucina e da qualche anno ha intrapreso la carriera del ricercatore oltre che autore apprezzato di libri sulla storia della cucina (sta lavorando ad un progetto che analizza la tecnica la conoscenza della cucina dal 200 a.c. ad oggi, ndr), ma dal 2004 ha intrapreso anche una terza vita, o una terza via, come volete voi.
«Dopo una laurea in architettura e un dottorato in urbanistica a Venezia, per otto anni ho insegnato al Politecnico di Milano - mi racconta Paolo Cazzaro -. Poi mi sono riconvertito, anche se meglio sarebbe dire mi sono rigenerato con la cucina, mia grande passione, declinandola sulla storia della gastronomia. Da sei anni sono un paratleta. La terza vita è iniziata nel 2004, quando ho visto davanti a me la morte. All'uscita dal funerale di mio nonno, sono stato protagonista di un gravissimo incidente in moto lungo la Riviera Berica, subendo una frattura completa al bacino e un danno neurologico permanente alla gamba sinistra. Da quel momento è cominciato il mio calvario, fatto di cure e tormenti e dolori insopportabili, perché la situazione non tendeva a migliorare, fin quando non ho provato una terapia a base di un farmaco antiepilettico, che mi ha alleviato per lo meno il dolore cronico ma, di fatto, mi ha rinchiuso in una gabbia. Dopo aver trascorso dieci anni di sofferenze, e sono arrivato a pesare anche 100 chili fumando 40 sigarette al giorno, ho detto basta. L'unica via d’uscita era tornare a fare dello sport: a metà degli anni Ottanta ero stato tra i primissimi a dedicarmi al triathlon. Avevo solo 17 anni ed ero una mosca bianca: di questa disciplina, che diventerà specialità olimpica solo nel 2000, nessuno ne sapeva niente. Io mi facevo arrivare l’attrezzatura dagli Stati Uniti. Ma alla fine decido di proseguire con gli studi, a Milano, dove mi laureo al Politecnico in architettura ed entro come professore a contratto».
Nel 2004, come detto, l’incidente: in moto. Coma e terapia intensiva. Come ricordo si porta a casa una lesione permanente al nervo sciatico della gamba sinistra, tecnicamente è disabile e classificato paratleta. «In parole povere soffro di dolore cronico – prosegue -. La diagnosi dopo quattro mesi di ospedale era stampelle per tutta la vita. Oltre al fisico, ero distrutto nell’anima. I farmaci neurotrofici sono pesanti da sopportare, sono davvero devastanti: sembrava di vivere dentro ad un liquido denso, tutto era rallentato. Ho iniziato a fumare come un turco, oltre 40 sigarette al giorno».
Nel giorno del suo compleanno, dieci anni dopo, l’ennesima svolta: ancora una volta. «Ero in montagna e decido di fermarmi per fumare una sigaretta – racconta -. Sento l’aria fresca e mi sono detto: basta! Da quel giorno nessuna sigaretta, ma in compenso decido di tornare in sella ad una bicicletta. Lascio il Politecnico e do inizio alla mia metamorfosi, quella che mi condurrà altrove. Allontanarmi dai medicinali per curare la neuropatia: credetemi, la parte difficile è imparare a convivere con il dolore neuropatico. È un dolore particolare: costante. Ti consuma».
Tre anni di paziente ricostruzione, di lenta metamorfosi dove scopre la nazionale di paratriathlon e conosce il suo nuovo angelo custode, il tecnico veronese Luca Zenti, oggi suo allenatore. Fa una rivoluzione a 360° che lo porta a ribaltare tutto: anche la sua vita professionale. Da urbanista passa all’alta cucina, lavorando per cinque anni in ristoranti stellati e oggi, come già detto, sta conducendo una ricerca sul “food process”. «Tutto parte dall’idea di trasformazione – dice -. Sto scrivendo un libro sulle modalità in cui vengono trasformati i cibi in cucina nella storia». Alla fine anche la sua è una storia fatta di ricerca e trasformazione, fatta a fuoco lento.
Dopo aver raggiunto già importanti riconoscimenti sportivi, ha accettato e aderito al progetto “Beat Yesterday” di Garmin, per mettersi ulteriormente in gioco: in ballo c’è un record dell’ora da realizzare nel 2021. «Ho in mente il record di Francesco Moser a Città del Messico, quello è la mia ispirazione, il mio sogno, il mio faro. Al mio fianco, oltre a Garmin e Davide Cassani che è il mio tutor, ho anche Marco Beltrami e suo fratello Graziano, che mi hanno fornito una bellissima Argon 18 E-118 Tri+ Disc. Marco ha compreso immediatamente il mio progetto e non ha esitato ad appoggiarmi. Forse anche perché avevano già maturato una bellissima esperienza con un uomo eccezionale come Alex Zanardi al quale io, e non solo io, guardo con ammirazione e prego per un suo completo recupero».
È un anno che ora lavora sodo seguito da Luca Zenti. «Luca mi ha fatto capire che ho un corpo – prosegue Paolo – e che questa “macchina” ancora qualcosa di buono la può dare. Così mi sono detto: proviamo a battere il record dell’ora su pista categoria Mc4 di paraciclismo. Da tre mesi mi alleno come un pazzo due giorni a settimana al velodromo Rino Marcante di Bassano del Grappa. Lo scorso mese di ottobre abbiamo anche simulato una prova: siamo andati non bene, di più. L’attuale record appartiene a Wayne Harrold, ex soldato inglese che l’11 gennaio del 2020 ha percorso in un ora 42,460 metri. Io l’ho portato a 42.900, anche se è solo in prova. Quando penso di tentarlo per davvero? Penso ad ottobre, e la cosa bella è che il primo fan a incitarmi è proprio Wayne Harrod, l’attuale detentore del titolo, nonché guardiano del cimitero militare di Cambridge. Ci scriviamo e si sentiamo spessissimo. È una cosa pazzesca: oltre a Garmin, Cassani e Luca Zenti, ho anche il supporto psicologico di Harrold. Lui è il detentore, ma il mio primo estimatore. Sarà lui a guidarmi in questa nuova impresa, nel mio “beat yesterday”: questo è lo sport…».
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