L’idea è illuminata: un percorso intorno a Milano. La filosofia è chiara: fare una cosa fuori dal comune ma dentro il Comune. Il nome è sentimentale, fisico, umano: AbbracciaMI. Ed è un’iniziativa libera, gratuita, comunitaria. Ha il successo che merita. Un effetto mai scontato.
Dalla necessità, una virtù; dalla pandemia, una panacea; dallla clausura, un’apertura. AbbracciaMI è la risposta dei ciclisti milanesi al Covid-19 a base di mappe e a forza di pedali. Una settantina di chilometri (ma si può anche arrivare a cento con il tratto da/a casa) attraverso una ventina di parchi, per fiumi e laghi, rogge e fontanili, su strade poco trafficate ma con alcuni inevitabili punti di attenzione: il ponte di ferro sul Naviglio Pavese, l’attraversamento della stazione di Rogoredo e di quella di Villapizzone, alcuni cancelli agricoli chiusi ma aggirabili, qualche metro sul marciapiede in via Inverigo e la stazione della Bovisa. A meno di recenti migliorie.
La prima volta di AbbracciaMI risale al 2018: esplorazioni pionieristiche. Adesso è sufficiente collegarsi e sintonizzarsi per evadere dalla città e rifugiarsi nel verde, pedalare all’aria, distanziarsi entro i limiti legali e non solo muscolari. Finora (e ancora) i percorsi erano (e sono) descritti (e ricordati, perché molto si è perso: asfalto e cemento). Così Turbolento, valoroso gruppo di ciclisti urbani e turistici, tramanda “il giro di Zanazzi”, quello che Renzo – maglia rosa al Giro d’Italia 1947, e molto altro – aveva spianato e solcato, un giorno sì (di bisogno e piacere) e un giorno no (di attesa e prigionia), da via Lanino (casa) a via Solari (bottega) fino a Morimondo (abbazia) lungo le risaie (all’andata) e i Navigli (al ritorno).
AbbracciaMI è diventata una parola d’ordine (fisico) e una pedalata di gruppo (frazionato), perfino un codice di appartenenza (sociale, civile, esistenziale). ResistiAMO.
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