Caro Nibali, finisce qui il calvario. Per te e per noi. Non neghiamolo: si avverte anche un certo senso di liberazione. In un Giro nato di suo già parecchio sconclusionato, per i motivi inevitabili che sappiamo, s'è dovuto incassare pure questa botta supplementare, la tua pesante sconfitta.
Era scritto, probabilmente, che niente dovesse andare nel verso giusto. Pensato per un grande duello (triello) Evenepoel-Thomas-Nibali, il primo si è rotto prima, il secondo si è rotto subito, il terzo si è dissolto durante. Questo per dimostrare ancora una volta come niente nella vita, mai, vada come pensiamo noi. Con un'ironia perfida e sadica, a supplemento: nell'anno in cui sognavamo il trionfo record del vincitore più anziano di sempre, tu, ci ritroviamo a festeggiare un inedito Giro-baby, dominato dai ragazzini.
Tu il 14 novembre compirai 36 anni. Ci risiamo con la solita sensazione: anche stavolta il tempo è volato. Puntuale il trionfo del “panta rei” di Eraclito. Tutto passa. Per anni abbiamo preteso che tu tenessi in piedi il ciclismo italiano ai massimi livelli, per anni l'hai tenuto alla grande. Non mi sembra giusto pretenderlo ancora. Mentre tu fai i conti con i 36 anni, noi dobbiamo fare i conti con quello che resta: praticamente, zero. Ma questo, in fondo, non ti deve riguardare: tu la tua parte continui a farla fino in fondo. E' giusto lasciarti libero di continuare senza ossessionarti con il carico in spalla dell'intero ciclismo italiano. Si faccia avanti qualcun altro, adesso. Sarebbe ora.
Tu, quando ti è toccato, non hai fallito la chiamata. Fin dall'inizio. Non puoi certo ricordare, ma io ricordo bene quando ti ho conosciuto. Eravamo a un Tour dei primi anni Duemila, tu dopo una stagione alla Fassa Bortolo di Ferretti eri il ragazzino della Liquigas, di quella grande Liquigas degli Amadio e degli Zanatta. Incontrandoti in albergo, a colazione, il mio amico direttore Stagi mi disse: “Vieni, ti presento il prossimo campione”. Io gli feci la solita domanda bastarda: “Anche questo come i tanti fenomeni che poi vincono solo al Giro di Malesia”. Lui sorrise: “Tranquillo, questo è vero, mi gioco quello che vuoi”.
Come sempre mi fidai dei direttore Stagi, che è un vero conoscitore dei ragazzini in arrivo nel grande mondo del professionismo. Lì sul momento ci scambiammo convenevoli, piacere, come va, tu ti rivelasti subito quel ragazzo perbene ed educato che sei, diciamo pure un ventenne d'altri tempi, per dirla in breve.
Da allora, non hai mai tradito le attese. Dopo Basso, ma già durante, ti sei preso in spalla il ciclismo italiano e l'hai tenuto stabilmente là, nella suite imperiale del grande sport. Col trascorrere degli anni, ci hai tempestato di ricordi. Io personalmente, quando si dice Nibali, ti vedo certo strapazzare Froome e Contador sul pavee del Tour, ti vedo certo impallinare tutti giù dal Poggio per vincere la Sanremo, ma più ancora ti vedo e ti fisso nella memoria sulle Tre Cime di Lavaredo, in maglia rosa, posizione di classifica blindata, eppure capace, tu di Messina, tu di sole e di mare, di partire da solo in mezzo alla tormenta, e per tormenta intendo tormenta vera, perchè nevicava di brutto e noialtri con i piumini gelavamo come bastoncini Findus. Lo specifico tre volte, perchè in questo Giro ho visto un tizio mettersi per la prima volta in vita sua, a trent'anni, la maglia rosa, eppure la mattina dopo felicitarsi perchè gli dimezzano la tappa di pianura, a 15 gradi, spiegando pure che fa molto freddo, lui olandese, lui di gelo e di vento.
Lasciamo stare: il solo confronto dovrebbe rimettere al loro posto le cose della storia. Pesarle, definirle. Anche soltanto per comprendere bene che cosa significhi davvero la parola campione, più che altro quando usarla a proposito e quando evitare di spararla a casaccio.
Tu, caro Nibali, anche in questo momento resti un campione vero. Lo sarai sempre. Naturalmente non sappiamo se tornerai ancora un campione che vince. Vorrei tanto fidarmi nuovamente del direttore Stagi, convintissimo che questa sia solo un'annata maledetta, una brutta parentesi nella tua lunga corsa, ma poi guardo l'età, penso ad Eraclito, e allora mi vengono i pensieri.
In ogni caso, non è neppure giusto portarsi avanti. La cosa che conta davvero è che tu ti sia dimostrato campione persino nel momento più cupo. Non ti sei arrampicato sui vetri, non hai cercato scuse facili, hai semplicemente guardato in faccia la verità e non sei scappato di lato: “Niente da fare, questi vanno più forte”. Punto. E' qualcosa che ricorda molto la dignità.
E allora, lascia che ti salutiamo tutti quanti partendo proprio da qui, dal modo nobile e decoroso di perdere. Lo sappiamo, perdere può essere anche più difficile che vincere. C'è un modo solo per uscirne: essere se stessi sempre. Quando lanciano i fiori, quando lanciano i pomodori. Nel bene e nel male.
Certo è molto complicato. Ma bisogna provarci. Bisogna riuscirci. Per quello che vale la mia opinione: perdendo a questo modo, tu stai cominciando a riuscirci.