Non è la prima volta che succede al Giro d'Italia: arriva la tappa in cui sembra che tutto debba cominciare e nell'arco di una sola ora si passa alla sensazione che tutto sia già finito.
Piegato in avanti come una suora di clausura sull'inginocchiatoio, con la faccia posata tra le mani giunte, in totale raccoglimento estatico, il giovane Almeida impartisce un'altra lezioncina si suoi diretti avversari e ancora di più allontana da sé la diceria del precario. La vulgata l'ha considerato precario il primo giorno che s'è messo la maglia rosa, ha continuato a considerarlo precario e provvisorio per altri giorni ancora, ma a questo punto converrà anche ai più diffidenti rivoluzionare le etichette e le reputazioni, perchè dopo la crono delle bollicine ad apparire molto più precari sono i cosiddetti rivali diretti, a cominciare purtroppo dal nostro Nibali.
Escluso Kelderman, che tiene bene, pagano tutti in modo pesante. Ma se non vogliamo raccontarci tante fiabe, c'è uno sconfitto più sconfitto di tutti gli altri: Vincenzo Nibali. Subire 1'23'' da Almeida è già di per sé un risultato inquietante. A renderlo ancora più inquietante non sono tanto le mie vane parole, quanto quelle di chi conosce meglio Vincenzo, il suo tecnico Paolo Slongo. Non le parole del dopo, ma quelle del prima, che qui riporto integralmente: “L'uomo più pericoloso è Kelderman, che è l'unico, sulla carta, che potrebbe guadagnare su Vincenzo. Sugli altri speriamo di riuscire a guadagnare qualche secondo”.
Allora: se queste erano le premesse, le fondamenta del nuovo edificio, ancora più eclatante appare il risultato finale. Evidentemente, mentre Almeida è andato molto forte, o forte come gli consente il suo attuale stato di grazia, Nibali è andato molto piano. E le chiacchiere stanno a zero.
Fosse finita qui, una giornata storta e tanti saluti, domani è un altro giorno e niente è compromesso, si potrebbe anche liquidarla come una ciucca di prosecco, del genere triste e malinconico. Invece non si chiude proprio niente: dalla sberla di Valdobbiadene si apre una prospettiva a dir poco tenebrosa. Nibali comincia il suo vero lavoro, la terza settimana sulle montagne d'alta quota, con un distacco che non può non essere definito preoccupante: due minuti e mezzo. Di più: nemmeno sa se questa riscossa in alta quota sarà materialmente possibile, perchè il meteo incombe sui tapponi più ardui, come già successe l'anno scorso, quando lo stesso Nibali aspettava di assaltare Carapaz sul Gavia e il Gavia fu tagliato. E sempre ammesso che poi non risolva tutto a modo suo il satanico Covid.
Per dirla tutta: è dura, molto dura. Con questo Almeida, che casualmente sta dimostrando autorità e sfacciataggine nell'anno mondiale della sfacciataggine ventenne, già annunciato dai Pogacar, dagli Evenepoel, dagli Hirschi, con questo Almeida che ogni giorno di più ci sta prendendo gusto, è già di per sé una sporca faccenda. Ma almeno un Kelderman è ancora lì alle sue calcagna, lo inquadra nel mirino, può davvero immaginare ribaltoni a cominciare già da subito a Piancavallo. Ma per l'italiano spinto dall'Italia intera, per il Nibali che vorrebbe vincere il Giro all'età più record di sempre, il progetto si presenta subito all'inizio, prima ancora di cominciare la terza settimana, una sfida titanica. Di queste improvvisate Vincenzo ne ha già regalate al suo Paese, a tutti noi. Ma era un altro Nibali, un Nibali con qualche anno in meno. Stavolta è su con l'età, e per di più non ha una squadra adeguata alla sfida.
Naturalmente, sarà bello rimangiarmi tutta questa apprensione davanti al suo ennesimo miracolo. Ma così immagina il cuore. La ragione è molto più fredda e carogna. La ragione può anche ammettere che tra i filari del prosecco il Giro non sia finito: ma la stessa ragione induce a temere, senza alcuna pietà, che sia finito quello di Nibali.