E come EF, nel senso di Education First, squadra americana. La sigla dello sponsor sta per precedenza nell’educazione (delle lingue): a volte si può semplificare come ‘prima l’educazione’. E’ il team che senza avvisar nessuno ha preso carta e penna per chiedere all’Uci di fermare il Giro in anticipo, cioè domenica: a sentire i suoi manager, l’azione più EFficace. Anche se poco rispettosa verso chi la corsa la sta portando avanti: nei confronti dei sogni altrui, un’EFfrazione. Ha incassato immediatamente il no dell’Uci: il suo tentativo non ha avuto EFfetto, rivelandosi EFfimero. Minaccia comunque di andarsene se ci saranno altri casi al prossimo Giro di controlli che verrà EFfettuato: è insomma predisposta all’EFfusione. Eppure è una squadra che, come le altre, ha accettato i protocolli del Giro in materia di Covid: ora sostiene che le misure di prevenzione non sono state abbastanza EFficienti. Sapendo bene che il virus non è come un’EFelide e non si cura con un EFferalgan: nel manifestarsi è molto più EFferato. E invece, ai primi casi registrati in corsa, si è fatta prendere da irrequietezza e nervosismo, come quegli studenti che esagerano con l’EFedrina. Muovendosi così, ha sfregiato l’EFfigie del Giro, come se fosse una corsa allestita non da gente intransigente, ma EFemminata. Anche se gli organizzatori sono abituati a imbattersi in chi, quando c’è da lamentarsi, è in servizio permanente EFfettivo: sanno che è un modo per rivelarsi EFfervescente.
N come Nibali. Nel senso di Vincenzo, grande speranza italiana in questo Giro. E non solo: l’Italia spera in lui quando corre i grandi giri, quando corre le grandi classiche e quando corre in bici al supermercato. E’ un campione unico, specialmente ora: nel ciclismo italiano non se ne vedono altri. E’ amato perché ci prova sempre: se si presenta al via di una corsa prova a vincerla, se si presenta nel ristorante di Cracco prova a cucinare. Di lui ti puoi fidare sempre, sia che monti in sella, sia che monti una libreria dell’Ikea. Da lui ti aspetti sempre che inventi qualcosa, come ha fatto alla Sanremo, come faceva già da piccolo: il giorno che i genitori gli regalarono il meccano, si costruì una bici. Eppure, di fronte ad un campione con una delle bacheche più ricche del ciclismo, c’è chi regolarmente storce il naso: se Nibali fa una cosa, è meglio farne un’altra. Se scatta sugli strappi è troppo in forma, se soffre sugli strappi non è in forma. Se nel tappone parte da lontano doveva aspettare l’ultima salita, se aspetta l’ultima salita doveva partire da lontano. Se usa gli occhiali a specchio doveva scegliere altre lenti, se mette occhiali classici non è alla moda. Se posta una foto sui social si distrae, se non interviene sui social è antiquato. Se vince il Giro non ha avuto grandi rivali, se lo perde ha sprecato un’occasione. Nibali sa bene che questo destino non l'abbandonerà nemmeno nella crono: la correrà da solo, ma ci sarà chi gli contesterà di non averla fatta in compagnia.