Visto in tv, il Tour è l’Iliade in bicicletta: principi e araldi, arcieri ed eroi, divinità e guerrieri. Non poema epico ma dramma televisivo, non esametri dattilici ma fotogrammi digitali, non la tradizione orale di un cantore cieco ma tre ore quotidiane di sport spettacolare, fatica artistica, acrobazie letterarie. Ecco i cinque perché amo tanto il Tour.
Perché – lo confesso – il Tour mi regala visioni: in Pinot rivedo Poulidor, in Pozzovivo ritrovo Robic, in De Gendt respiro Pagnin. E non mi importa se i paragoni sono discutibili o opinabili, balordi o approssimativi, mi importa l’ereditarietà dei brividi, la tradizione delle memorie, la transumanza delle imprese.
Perché – lo confido – il Tour mi regala il vento: aspetto quello dell’oceano, desidero quello del maestrale, detesto quello delle ammiraglie. Il vento nel vento, che è una corsa nella corsa, perché il ciclismo – già di per sé, nella sua natura – è il vento, un vento, brezza o tramontana, zefiro o bora, scirocco o bonfino (il bonfino è il vento del Passo del Tonale: “S’incucci, signora – si raccomandava un antico maestro di sci alla sua cliente – ché arriva il bonfino”).
Perché – lo ammetto – il Tour mi regala i colli: tutti questi colli così musicali e così fracesi, che Gianni Mura con i Tetes de Bois rimava Alpe d'Huez, Col du Corbier / Granier, Plainpalais et Galibier / Col du Noyer, Roussy, Laffrey / Lautaret et Okeinet (Ca y est), ma a cui si potrebbero aggiungere Marie Blanque e Puy Mary, Izoard e Puy de Dome, Aspet e Mentè, Balès e Peyresourde, scollinando all’infinito.
Perché – lo dichiaro – il Tour mi regala ventuno viaggi: un viaggio quotidiano (maledetti i giorni di riposo), terrestre e celeste, stradale e orale, gratuito e registrato (il mio spacciatore è RaiPlay), e in quelle tre ore di diretta indiretta non ci sono più per nessuno, rapito, sparito, aspirato, astratto, estratto, esterrefatto. Felice.
Perché – lo giuro – il Giro è meglio del Tour, più umano, più vario, più imprevedibile, ma come dicono quei presuntuosi dei francesi, nei giorni delle ecatombi così come nei giorni delle resurrezioni, il Tour è il Tour, e questo è razionalmente, dialetticamente, evidentemente innegabile.
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