20 maggio 1967: esattamente 53 anni fa Giorgio Zancanaro vinse la prima tappa del 50° Giro d'Italia, Treviglio-Alessandria di 135 chilometri, e conquistò la maglia rosa davanti ai suoi concittadini. E' stato l'ultimo squillo della carriera di un corridore forte, generoso e poco fortunato, che allo soglia degli 80 anni (li compirà il prossimo 15 giugno) resta l'ultimo esponente di spicco del ciclismo alessandrino a livello nazionale.
Zancanaro, che cosa ricorda di quel giorno?
"Tutto. Correvo per la Max Meyer, il direttore sportivo era Gastone Nencini ed io ci tenevo moltissimo a ben figurare nella mia città, anche se la tappa, breve e completamente pianeggiante, non era adatta alle mie caratteristiche. Ho provato tante volte ad andare in fuga, ma l'azione decisiva è nata solo a Spinetta Marengo, a meno di 10 chilometri dall'arrivo, quando siamo andati via in sei, tra cui anche Poggiali e Balmamion. Abbiamo acquisito 200 metri sul gruppo e siamo riusciti a mantenerli fino al traguardo".
Tra i fuggitivi c'era anche uno sprinter di razza come Adriano Durante. Come è riuscito a batterlo in volata?
"Ho sfruttato il fattore-campo. A cinquecento metri dall'arrivo, davanti alla stazione, partendo da dietro ho infatti tagliato sulla sinistra una rotonda che conoscevo bene, guadagnando una trentina di metri sugli altri. Poi Durante ha recuperato quasi tutto lo svantaggio, ma stringendo i denti sono riuscito a contenere la sua rabbiosa rimonta e a vincere tra gli applausi dei miei concittadini. Che soddisfazione!".
E' stata la vittoria più importante della sua carriera?
"Sicuramente sì. Indossare la maglia rosa nella mia città, con mia moglie Margherita e mio suocero sul palco accanto a me, è stato il coronamento di un sogno che mi pareva irrealizzabile, soprattutto dopo le due sfortunate stagioni precedenti".
Che cosa era successo?
"Dopo il 3° posto che avevo conseguito al Giro d'Italia del 1963 correndo praticamente da isolato, ero stato ingaggiato dalla Carpano. Nel '64 vinsi il Giro di Toscana, ma durante il Giro d'Italia, dopo il successo nella tappa di Caserta, cominciai a soffrire di una gastrite spastica che mi costrinse ad un lungo stop. Nel '66 restai senza squadra e gareggiai come indipendente con i colori dell'Anpi Sport Valenza. Ero sfiduciato, pensavo di smettere, poi quasi in extremis arrivò la chiamata di Nencini che mi volle alla Max Meyer".
Nel '67, dopo aver indossato la maglia rosa, lei sfiorò anche quella azzurra....
"Quell'anno andavo davvero forte e arrivavo sempre con i primi: 2° alla Tre Valli Varesine, 4° al Giro dell'Appennino, 4° al Giro del Lazio, 5° alla Coppa Bernocchi. Fui selezionato per i mondiali di Herleen, in Olanda, ma alla vigilia della prova iridata il C.T. della nazionale mi disse, con un certo imbarazzo, che Motta pretendeva un gregario in più e che quindi avrei dovuto fare la riserva e lasciare il posto da titolare a De Prà".
Lei come reagì?
"Provai una fortissima delusione, poichè ero in piena forma e lasciarmi fuori era una vera ingiustizia. In quella occasione mi resi conto che in quel mondo non c'era più posto per un corridore come me, che non aveva santi in paradiso. Attaccai definitivamente la bicicletta al chiodo durante il Giro d'Italia del '68 dopo aver assistito ad altre scene che con lo sport non avevano niente a che fare. No, quel ciclismo non mi piaceva più!".
da La Stampa - edizione di Alessandria - a firma Franco Bocca
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