“Sapete perché i capitani si trasformano in team manager e i gregari diventano direttori sportivi? Perché i capitani, forti del loro talento, si sono sempre fatti servire, invece i gregari, forti della loro volontà, hanno acquisito l’arte dell’arrangiarsi e dell’ingegnarsi”.
Marco Milesi era un gregario, anzi, un gregarione. Un metro e novanta da pianura e resistenza, da tirate e trenate, da tappe e classiche, da Vainsteins a Cipollini, solo per citare due campioni del mondo. Tant’è che Milesi, dopo circa un centinaio di vittorie nelle categorie giovanili e una quarantina da dilettante (con un secondo posto nella classifica finale del Giro d’Italia 1993), dopo 13 anni da professionista e due vittorie (una individuale nella Bicicletta Basca e una collettiva in una cronosquadre), è diventato direttore sportivo (anche se ha il diploma di grafico pubblicitario), e questa è la tredicesima stagione, la seconda nella Biesse-Carrera. Anche qui, al Giro della Valle d’Aosta.
La sua storia: “Bergamasco di Osio Sotto, il paese anche di Pinotti e Barbin. A sette anni la prima bici da corsa, una Fontana, di un artigiano milanese, regalo di mio padre e mio zio. A sette anni e qualcosa la prima corsa, a Zanica, premiato con una coppettina ancora esposta a casa accanto alla prima vinta da mio figlio Alessandro, solo che io arrivai quarto e lui settimo. A sette anni e qualcosa in più la prima vittoria. Giocavo a basket e correvo in bici, poi scelsi la bici, perché il basket si fa al chiuso e io non potevo rinunciare all’aperto. Da professionisti eravamo proprio un bel gruppo. La mattina, a una certa ora, appuntamento a un incrocio dalle parti di Canonica d’Adda: Scirea, Bramati, Belli, Missaglia, lo stesso Vainsteins… Il giro dove la bici andava a memoria era quello con la Roncola e il Selvino. Dodici grandi giri: sei Giri, quattro Tour e due Vuelta. Ma il massimo erano le classiche del Nord: La Panne, Fiandre, Roubaix, tutto un altro mondo. Lassù la gente vuole bene al ciclismo e adora i corridori”.
I suoi maestri: “Da Zanatta e Sergeant ho imparato la gestione della squadra e l’impostazione della corsa. Da Vittorio Algeri la tranquillità. Da Franchini la semplicità. Da Locatelli lo spirito, la responsabilità, la vita. Quante volte, sceso dal pullmino, tornavo a casa in bicicletta. E a distanza di tanti anni, so che Locatelli la pensa ancora così e che non ha ancora cambiato il metodo. Il ciclismo è uno sport antico e, nella sua essenza, non è mai cambiato. E’ antico nella fatica, nel sacrificio, nel rigore, nei rischi, nella solitudine. E’ antico anche se la bici non è mai stata così proposta, usata, amata, mai così di moda. E anche la bici è una maestra, perché insegna a vivere secondo certe regole, a cominciare da quella di rispettare se stessi e gli altri, la strada e la fatica, qualsiasi fatica sia”.
La sua filosofia: “I corridori li riconosci dalla grinta, dall’impegno, dalla passione, dalla cattiveria, dalla voglia di lavorare e faticare. Poi i risultati arrivano. E’ sempre stato così e così sarà sempre. Perché la bici non regala nulla, ma non ruba nulla: quello che le si dà, lo restituisce. Alla Biesse-Carrera ho 13 corridori, otto Under 23 e cinque élite cresciuti con me, compresi i figli di ex corridori – Davide Bramati, Roberto Menegotto, Imelda Chiappa - che me li hanno affidati. Io sostengo che persone migliori producano corridori migliori, per questo è importante imparare a rispettare le regole, per esempio resistere alla tentazione di attaccarsi all’ammiraglia o ficcarsi in tasca la cartaccia di una barretta o scegliere una persona, meglio un bambino, cui lanciare la borraccia vuota, anche se gli altri fanno il contrario. I ragazzi di oggi sanno tutto di tutto, ma superficialmente e confusamente. I miei parlano e raccontano, ascoltano e imparano. E il ciclismo li aiuta a tirare fuori il meglio da loro stessi, anche quello che non sanno o non immaginano di avere”.
La sua missione: “Fra una corsa e l’altra, mi rimane il tempo per dedicarmi all’U.C. Osio Sotto. E’ la squadra dove cominciai a correre e dove adesso corre Alessandro. L’abbiamo rifondata, cominciando con lui e poi con i suoi amici e poi con i suoi compagni, e adesso sono 30, 29 maschietti dai giovanissimi agli esordienti, il prossimo anno anche allievi, e una ragazzina, Viola, campionessa lombarda su pista nei minisprint. Perché facciamo strada e, due volte la settimana, anche pista, a Dalmine. Maglia gialla con una riga blu, una trentina di bici a disposizione per poter fare sport gratis. E il bello è che organizziamo anche otto corse per giovanissimi ed esordienti, compresa una notturna per Under 23. Insomma, la bicicletta mi riempie la vita. Del direttore sportivo mi piace tutto, prima e dopo una corsa, soprattutto durante, perché la corsa è sempre avventura e mistero, romanzo e rivelazione. E – credetemi - da quando faccio il direttore sportivo, non c’è stata una sola mattina in cui mi sia alzato sospirando per una trasferta o un allenamento o una gara o un appuntamento. Certo, c’è anche qualche momento difficile. Il più difficile è quando devi dire a un ragazzo che, arrivato a 23 anni, non è più il caso di insistere. C’è chi lo capisce da solo, c’è chi s’illude e finge di non capirlo. Ma la passione per la bicicletta si può trasmettere, comunicare, tramandare in altri modi. Soprattutto se a farlo è un gregario”.
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