Sante Giovanni Gaiardoni, “Gianni” per gli amici, è un’eccellenza assoluta delle due ruote, sia in ambito italiano, sia in quello internazionale. L’attribuzione di eccellenza travalica comunque il settore ciclismo per fissarsi, a pieno titolo, in quello più ampio dello sport per la qualità e il valore del suo medagliere.
Il veronese, nato a Villafranca di Verona il 29 giugno 1939, è sicuramente un “grande” della pista, professionista dal 1960 al 1971, dopo le strepitose vittorie alle Olimpiadi di Roma del 1960 dove conquistò l’oro nella velocità e nel chilometro da fermo. Avrebbe potuto fare il tris d’oro gareggiando anche nell’inseguimento a squadre – vittoria comunque ottenuta dall’Italia con Luigi Arienti, Franco Testa, Marino Vigna e Mario Vallotto – ma diverse scelte dettate forse anche da motivi di geopolitica sportiva, non lo videro schierato col quartetto vincente. Ora sorride al ricordo, senza acredine verso nessuno, qualità tipica del suo carattere, ma l’idea del tris d’oro con un po’ di rimpianto è ancora rimasta e traspare nel ricordo.
E sul filo della memoria Gaiardoni enumera anche i suoi numerosi successi su strada, ottenuti ovviamente in volata, in importanti gare, vere e proprie “classiche” ai tempi del ciclismo giovanile. Fra queste, in ordine sparso, la Milano-Busseto, la coppa Caldirola, la San Geo che finiva ad Affori, quartiere di Milano, il campionato veneto con la maglia della Villafranchese, la sua prima società. Giovanissimo ancora si trasferisce con la famiglia a Milano, zona Sempione, a due passi dal velodromo Vigorelli, precisamente in via Castelvetro 1. Ha così avuto esito positivo il corteggiamento serrato fatto dal commendator Dino Cappellaro, presidente della gloriosa società milanese dell’Azzini e facoltoso commerciante di pietre preziose, per fare indossare al possente giovanotto veronese la maglia blu-nera della sua squadra.
La “parrocchia” degli specialisti, in pista e fuori pista, come soleva definire i fedeli del Velodromo Vigorelli il suo grande cantore Mario Fossati, parrocchia assai numerosa e sempre affollata ai tempi, popolata da vari personaggi di differenti estrazioni sociali, molti integrati e regolari, qualche altro definibile un po’ bohèmien, tanto per stare leggeri, accolse subito al suo interno il traccagno veronese con scultorea muscolatura. Soprattutto le cosce, con fasce naturali impressionanti, non frutto di specifico lavoro in palestra, gli consentivano di proporre lo scatto con straordinaria veemenza e forza, tanto da sembrare che la ruota motrice posteriore “rigasse” con un solco il parquet della pista milanese con il telaio e l’intera, apparentemente esile, struttura che vibrava per la violenta potenza scaricata nella fase di scatto da Gaiardoni.
La forza della sua stretta di mano, allora come ancora oggi, è sempre stata un’altra espressione della sua prorompente muscolarità peculiare e chi la conosce sovente cerca d’evitarla pure ora per preservare l’integrità della propria.
In quel tempo L’impianto milanese di via Arona, in zona Fiera, aveva un monarca assoluto, il grande Antonio Maspes, personaggio e personalità di primo spessore che era già titolare di una straordinaria carriera e che era letteralmente cresciuto sui listelli della pista milanese, peraltro a due passi da casa sua. Maspes si rese subito conto delle potenzialità di Gaiardoni e lo prese a benvolere, non risparmiandogli comunque le sue caratteristiche, soventi sferzanti, battute, in italiano e anche in dialetto milanese che distribuiva a iosa, con continuità. Indicativo in materia è che lo sgamato cittadino Maspes non abbia mai messo nel mirino dei suoi famosi “scherzi” il più ingenuo Gaiardoni nella sua spontaneità d’origine contadina. L’ha comunque aiutato nell’inserimento nel circo dei “pistard” e Gaiardoni accettava questa “leadership”, anche dialettica, selezionando e metabolizzando quello che gli tornava utile e replicando anche, con rispettosa bonomia, a suo modo, alle scherzose provocazioni dell’incontestabile padrone di casa. E’ stato sì, una volta che Gaiardoni passò fra i professionisti dopo le Olimpiadi di Roma, un vivace e popolare dualismo che ha caratterizzato un’epoca d’oro della pista, a livello internazionale, ma sempre all’insegna dell’amicizia personale, anche fra le famiglie. E il commissario tecnico della pista, il famoso romano Guido Costa, non ha mai avuto problemi particolari di gestione dei due “big”.
A proposito delle Olimpiadi il veronese ricorda ancora oggi, con nostalgia, il periodo dei lunghi collegiali di preparazione alle Frattocchie, località del comune di Marino, a una ventina di chilometri da Roma. La sede era un pensionato gestito dalle suore, con vari compagni, molti tuttora amici, con gli scherzi, le “fughe” serali e qualche “evasione” per un tuffo nel clima della “dolce vita” romana di quel tempo al seguito di un brillante e facoltoso personaggio, Gianni Banti, “viveur e bon vivant”, assiduo frequentatore dell’ambiente, sia ciclistico, sia – soprattutto – pariolino della capitale. Era per rompere un po’ la routine, dice oggi Gaiardoni, che ricorda ancora, di quel tempo, il panino con un fresco buon bicchiere di bianco, che sottobanco, di nascosto dal c.t. Costa, una suorina gli faceva trovare, “ad personam”, al rientro dell’allenamento, quale apprezzatissimo antipasto. A proposito di cibo Sante Gaiardoni ricorda la figura di Fiorenzo Magni che gustava particolarmente le tagliatelle veronesi cucinate dalla sua mamma.
E ricorda la goliardia del tempo che, comunque, non andava a detrimento della serietà professionale e in questo tema ricorda Gianni Massari, suo amico, in forza alla Polizia Stradale di Milano, che nel tempo libero dal servizio, era la sua costante guida negli allenamenti dietro Vespa o Lambretta, il suo “pacer” come si direbbe oggi, ma non solo. E l’avversario più ostico che Gaiardoni abbia mai incontrato in pista, per sua ammissione, era il milanese Ruggero Zini, sconosciuto ai più, poi diventato architetto, in seguito sempre legato d’amicizia e anche collaborazione personale nel settore immobiliare.
Gli annuari sportivi riportano l’eccezionale palmarès del campione veronese, quello che non riportano è il suo straordinario senso dell’amicizia, un’amicizia di servizio si potrebbe dire, mai esibita, con diramazioni varie in Italia e pure all’estero, messa in atto anche quando, conclusa la carriera, aprì un negozio di biciclette nel quartiere milanese del Giambellino. Milano era diventata oramai la sua città e Gaiardoni si profuse sempre per lo sviluppo della bicicletta, con varie iniziative, per la promozione della due ruote anche in ambito cittadino.
Ora abita a Motta Visconti, tranquilla cittadina in provincia di Milano, al confine con quella di Pavia, vicino alla figlia Samantha. E si dedica, con tenerezza e continuità, pari (se non superiori) alla potenza che esprimeva in pista, alla moglie, la signora Elsa Quarta, già nota cantante melodica sposata nei primi anni 1960, conosciuta, tramite il collega cantante milanese Luciano Tajoli, durante una tournèe in Australia. E sembrano ancora adesso i “fidanzatini di Peynet” con il fidanzatino che ha la poderosa struttura, nonostante le ottanta primavere, di Gianni Sante Gaiardoni.
Auguri!