A come Alejandro. Nel senso di Valverde, il campione del mondo. E’ uno dei grandi assenti, non il principale, almeno per il giornale organizzatore: il giorno in cui venne svelato il percorso, lo scorso ottobre, la Gazzetta titolò ‘E’ un Giro per Froome’. Ignorati tutti gli altri, a cominciare da Nibali, che invece c’è. Avrebbe voluto esserci anche Valverde, che da queste parti non si è visto spesso: l’unica volta che si è presentato, tre anni fa, è salito sul podio. Gli sarebbe anche piaciuto onorare la sua maglia iridata, notoriamente non un portafortuna: c’è una storia di campioni che il loro anno peggiore l’hanno vissuto indossandola. Pur non essendo superstizioso, lo spagnolo ha intuito qualcosa appena se l’è messa: al suo passaggio ha notato gatti neri voltarsi dall’altra parte, campi di quadrifoglio appassire all’improvviso e tifosi, in particolare gli uomini, portarsi di scatto le mani sui pantaloni come se si fossero accorti di aver dimenticato la cerniera aperta. Anche alle corse gli è venuto il sospetto: nei primi tre mesi dell’anno una vittorietta, in una gara di paese. Pensando di rifarsi, si è presentato alle classiche, suo territorio di caccia, ma è stato peggio: alla Freccia, sul muro finale, ha inghiottito un’ape che l’ha punto in gola, il giorno dopo nel provare il percorso della Liegi è andato in terra, picchiando l’osso sacro e giocandosi Giro e altro. Serve benedizione o buon augurio, a patto che non si rivolga al compagno Bennati, un altro a cui va tutto storto anche senza portare la maglia iridata: un paio di mesi fa, dopo una pedalata con Jovanotti, all’amico cantante che prepara una tournee ha inviato sui social un caloroso ‘imbocca al lupo’. Visto l’andazzo, non osiamo immaginare cosa possa succedere se Valverde provasse anche a imboccare il lupo.
D come Doris. Nel senso di Ennio, fondatore di Banca Mediolanum. Per intenderci, è quel signore che in un celebre spot di qualche anno fa, per spiegare che il suo istituto mette al centro il cliente, disegna un cerchio in terra col bastone facendo un giro intorno a sé: di qui a fare il Giro come sponsor il passo è stato breve. E’ l’unica volta che si è concesso a una cinepresa: con il celebre film Hallo, my name is Doris, interpretato da Sally Field, giura di non c’entrare nulla. Né è il suo biglietto da visita quando va all’estero. Alla vigilia del Giro (quello in bici, non quello intorno a sé), Doris (Ennio, non Sally Field) ha presentato l’ultimo libro realizzato con Pier Augusto Stagi, ‘CoppieBartali’: attraverso la rivalità fra Coppi e Bartali, racconta l’Italia che si rialza dalla Guerra e arriva agli anni del boom, l’Italia migliore. E’ una storia affrontata con la dolcezza del nonno che la descrive ai nipotini, senza sconfinare nel protagonismo pur essendo l’autore un protagonista di questo Paese: a spingerlo è la voglia di tramandare, non di far sapere che ‘io c’ero’. Così come Doris c’è in questo Giro, dove è lo sponsor più longevo, vestendo con le sue insegne il migliore degli scalatori: come compete a chi ha saputo scalare la vita così bene.
G come grafica tv. Nel senso di informazioni che compaiono sullo schermo. Immutabile quella della Rai, per scenografie e colori: se Cristo si è fermato a Eboli, la tv di Stato ha messo le tende in Bulgaria. Ispirata da vecchie trasmissioni da paesi dell’Est anche la diretta della presentazione delle squadre del Giro da Bologna: conduttore e ospiti sembravano piazzati lì provvisoriamente, in attesa di essere traslocati in uno studio vero. Oltre alla logistica, a complicare loro la vita ci si è messa la regìa, mandando in onda cartelloni con squadre di sette corridori e non di otto: sia Dumoulin che Viviani si sono ritrovati mutilati di un compagno. E’ andata meglio solo all’Ineos, l’ex Sky, presentata col numero di atleti giusti. Purtroppo non effettivi: in grafica sono comparsi Bernal e Moscon, che sono a casa. Tranquilli: tempo tre settimane, numeri e facce andranno a posto.
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