Il nome – Pierino – dà il senso della vivacità, il cognome – Primavera – dà quello della vita. Da Tavullia, la stessa cittadina di Valentino, “con la differenza che Valentino va forte e io andavo piano”. Piano, si fa per dire: “A scuola fino alla quinta elementare, poi a lavorare da un falegname e a studiare alle serali, fino alla terza media”. E fino alla prima bicicletta: “Così arrugginita che non si leggeva neanche la marca”. Mezzo anno da esordiente, quindi allievo (“Sempre da falegname, allenandomi la mattina prima di lavorare o in mezze giornate di permesso”) e dilettante (“A Ravenna, 71 chilometri ad andare il sabato mattina, 71 a tornare il lunedì mattina, in mezzo la corsa”). Lo rivelò una gara in Cecoslovacchia: “La prima tappa andai in fuga da solo. Forai una prima volta, e venni ripreso dagli inseguitori. Forai una seconda volta prima della volata, e arrivai staccato dai primi. Ma mi misi in mostra. Tanto che parlarono di me a Vittorio Adorni, lui mi cercò, e per raggiungere la squadra in ritiro a Terracina, mi feci accompagnare in macchina. Io non l’avevo”.
Pierino Primavera, un corridore quattro stagioni. Del 1945, tre anni da professionista (1969 e 1970 alla Scic, 1971 alla Zonca), gregario, nessuna vittoria: “Però un secondo posto in una tappa al Giro di Svizzera. Fuga a tre. Uno svizzero, che non tirava perché il suo capitano, Rudi Altig, era in maglia, non partecipò alla volata. Alla bandiera verde, che segnalava l’ultimo chilometro, mi dissi di aspettare. Invece la segnalazione era sbagliata, il traguardo era dopo soli 600 metri, e quando scattai ormai era troppo tardi. Vinse un olandese, Beugels, che si chiamava Eddy come Merckx, ma non era mica così forte”. Altre occasioni, poche: “E mai per il primo posto. Comunque, la volata non era il mio forte. Se eravamo in due, arrivavo secondo, e da dilettante successe 11 volte. Se eravamo in tre, arrivavo terzo, in quattro, quarto. Facevo la felicità dei miei avversari, sapevano di poter contare sempre su di me”.
Storie da raccontare, tante. Una, per esempio: “Gregario per Beppe Beghetto, supervelocista. Forò. Lo aspettai, rallentando. Guardavo dietro, a destra, ma lui non arrivava, non rientrava, non si vedeva. Alla fine, rassegnato, guardai diritto, davanti, ed eccolo là. Mi aveva passato sulla sinistra. Ce la misi tutta per accodarmi, ma non ci riuscii. E lottai tutto il giorno, disperatamente, chiedendo aiuto anche ad ammiraglie e motociclisti, per non finire fuori tempo massimo”.
A Cattolica Primavera ha avuto anche un negozio di biciclette: “Funzionava. Fin troppo. La gente amava stare lì anche a chiacchierare. Un giorno, per mettere comodi in miei clienti, ebbi la cattiva idea di sistemare lì un divano. Con il risultato che, così, facevano i turni: quando quelli andavano a casa a cenare, arrivavano quelli che avevano già cenato. E io non chiudevo mai”.
Adesso una bici di Pierino, una Colnago bianca etichettata Scic del genere Eroica, è esposta nella mostra “Il ciclismo in Romagna Secondo Casadei”, nella Villa Mussolini di Riccione, fino al 16 giugno (aperta sabato, domenica e festivi, dalle 15 alle 20, ingresso libero). La bici è appesa non al chiodo, ma al soffitto. Come una nuvola. Di Primavera.
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