PROFESSIONISTI | 31/05/2018 | 08:36
«Non avevo mai parlato con Chris Froome. Poi prima della tappa di Roma i fotografi mi hanno chiesto di andargli vicino, volevano uno scatto del primo assieme all’ultimo. Lui si gira e mi fa? Ah, sei tu l’ultimo? Bravo, meglio ultimo che a metà gruppo, così almeno ti fai notare».
Giuseppe Fonzi della maglia nera ha fatto un’alleata. Da quando la gente sa che lui è l’ultimo in classifica, alla partenza c’è la fila per farsi una foto o chiedergli una firma. E questo è il secondo anno di fila che il corridore di Pescara arriva ultimo. «L’anno scorso non era un obiettivo, ma ho quasi fatto apposta. Quest’anno dovevamo correre per il nostro capitano, Zardini, ma sull’Etna si è rotto la clavicola. Però è arrivato in fondo, e per stargli accanto abbiamo perso tutti molto tempo, così mi sono detto: provo a fare doppietta».
VITA BELLA. Operazione riuscita con successo: Fonzi per arrivare a Roma ci ha messo 5 ore, 48 minuti e 37 secondi più di Froome, «praticamente ho fatto una tappa in più dei primi, ma il bello è che ci ho messo 3 secondi in meno dell’anno scorso. A volerlo fare apposta non mi riusciva». A casa sua erano tutti corridori, papà, nonno, zii, e Giuseppe da piccolo vinceva. «Sono un regolarista. Andavo piano in salita, in discesa, a cronometro e in volata. Voglio dire, non è che andassi proprio piano: andavo più piano degli altri». Elisa, che è bresciana, si è trasferita a Pescara per stare con lui, «io sono spesso lontano da casa, quando mi peserà smetterò di correre, io amo il ciclismo». Quando un bambino gli chiede un autografo non sa resistere, «mi ricordo come mi sentivo io quando qualcuno me lo rifiutava, e magari con mio padre avevo fatto un sacco di chilometri per andare a vedere la tappa. Che cosa costa sorridere? Io non riesco ad avere il muso, di vita ne ho una sola e se non me la godo che senso ha?».
HAPPY DAYS. E comunque non è stato il peggiore italiano, «sì, sono arrivato ultimo ma almeno sono arrivato a Roma». Non c’è una preparazione specifica per cercare la maglia nera, «l’importante è andare piano, sapersi regolare, gestirsi, guai ad andare fuori tempo massimo». Sulle Finestre è stata una mazzata. «Dalla radio ci hanno detto che c’era Froome da solo, noi eravamo una sessantina e ci stavamo gestendo. Poi a un certo punto ci dicono la verità: ragazzi datevi una mossa perché non è semplicemente da solo, sta letteralmente volando. Abbiamo accelerato, in discesa siamo andati forte, e alla fine abbiamo perso soltanto 45 minuti. Poi ho visto le repliche della tappa: Chris ha fatto qualcosa di molto vicino all’impossibile». Idoli non ne aveva neanche da bambino, «mi piaceva troppo il ciclismo per fare il tifo per uno solo», ma c’è qualcosa che lo perseguita da sempre, «beh sì, non è da tutti chiamarsi Fonzi, suona come Fonzie, ma io ci gioco, è il mio carattere, la mattina al foglio firma mi mettono la sigla di Happy days e io rido. Elisa anche quest’anno mi ha portato il giubbotto di pelle per posare prima del via». Invece della maglia nera, vietata dal regolamento, un bel chiodo di pelle nera. «Una volta era una maglia ambita, fruttava anche premi, adesso non ti danno neanche un prosciutto. Però a me piace. E se un giorno dovessi fare il Tour, vorrei provare ad arrivare ultimo».
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