
“Nessuna disputa precedente del Giro e nessuna edizione del Giro di Francia – scriveva con plurale maiestatis Emilio Colombo, direttore della “Gazzetta dello Sport” nel chilometrico editoriale sulla prima pagina di lunedì 10 giugno 1935 – ci erano mai sembrate così appassionanti com’è risultata, per il nostro spirito, per il nostro costante bisogno di indagini, per la nostra insaziabile sete di emozioni, la prova conclusa ieri nello scenario dello Stadio Civico”. E ancora, stavolta in prima persona: “Nessuna mi è mai sembrata così ricca di episodi, di particolari, di fatti, di questioni, di spinta rivalità, di pagine di bellissimo sport”. Primo, Vasco Bergamaschi.
C’era sua sorella Bianca, l’altra sera nell’anfiteatro di San Giacomo delle Segnate, nella bassa mantovana, a ricordare l’antico vincitore. Bianca ha 95 anni, decima e ultima figlia (quattro maschi, quattro femmine e due morti prematuramente), il papà titolare di un negozio di alimentari, la mamma che si moltiplicava aiutandolo dietro il bancone e poi governando e rigovernando la casa, la semplicità come condizione ed educazione, anche come destino. Originari della frazione Malcantone, che a dispetto del nome malfamato godeva di una scuola, dunque luogo di studi, e di una fornace, dunque posti di lavoro, i piccoli Bergamaschi frequentarono l’indispensabile (le elementari) prima di dover guadagnare per poter campare. Vasco, il numero due, nel forno di Ivo, il numero quattro, aveva il compito di trasportare sacchi e sacchetti di pane qua e là in quella zona piatta del Mantovano. “Il più velocemente possibile” - ha spiegato Bianca -. “Così si rivelò la vocazione. E così, sulla scia di Learco Guerra, l’ispirazione”.
Bianca ha ricordato di come Vasco le abbia fatto da padre e da fratello: “Era riservato, perfino silenzioso, era resistente, perfino inesauribile, era generoso, perfino troppo”. Gregario, lo aveva scritto sulla pelle e nel cuore: “Capace di sacrificarsi, a cominciare da Guerra”. Fu proprio Guerra a regalargli il soprannome di “Singapore”: “Per gli occhi a mandorla, una caratteristica fisica di una parte della nostra famiglia”. E non era, Vasco, il solo Bergamaschi ad andare forte in bicicletta: “C’era anche Norberto, e forse andava ancora più forte di lui. Peccato che fu squalificato. Accadde in una corsa. Arrivò primo al traguardo, ma portando sul manubrio una vecchia. L’aveva raccolta strada facendo nel finale della corsa. I giudici non gliela perdonarono. Fu la sua ultima corsa. Altrimenti, chissà che cosa avrebbe combinato”.
Bianca abita a Poggio Rusco e non più nella casa di famiglia a Sermide, nella vecchia casa di famiglia, dove custodisce alcuni cimeli di Vasco: “Una borraccia, una vestaglia ricevuta come premio, una scatola di fotografie… Non vorrei che finisse nelle mani di un collezionista privato, preferirei consegnarle a un’amministrazione comunale o a un archivio civico”, probabilmente al Comune di San Giacomo delle Segnate. Su Bianca è stato girato un docufilm, regia di Barbara Bizzarri, musiche di Riccardo Cappelli, scene girate tra Malcantone, Concordia e Poggio Rusco: il racconto di una donna coraggiosa ma anche di una comunità solidale, che comincia con la Seconda guerra mondiale, attraversa le staffette partigiane, la ricostruzione postbellica e il boom economico, e arriva fino ai giorni nostri. Il docufilm sarà proiettato il 12 aprile alle 17 nel cineteatro Lux, via IV Novembre 6, Quistello (Mantova), e il 27 aprile alle 17 nel chiostro di San Francesco, piazza Carducci, San Giovanni in Persiceto (Bologna).
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