Due campioni del mondo. Due splendidi ultraottantenni. Due ragazzi irresistibili. Vittorio Marcelli e Gianni Rivera. Ritratti insieme, ad Avezzano, qualche giorno fa, per l’accensione dell’albero di Natale in piazza Risorgimento, davanti alla Cattedrale. Amministratori e cittadini, calciofili e ciclomaniaci, tifosi e sportivi, gente cui i due, a colpi di pedale o di tacco hanno regalato emozioni, illuminato giornate o notti, segnato esistenze se non addirittura destini.
Marcelli, marsicano di Magliano, campione del mondo in linea fra i dilettanti, era il 1968, ma anche due bronzi mondiali e un bronzo olimpico nel quartetto della cento chilometri, anche quest’ultimo conquistato nel 1968, poi professionista. E Rivera, alessandrino di Valle San Bartolomeo, campione europeo nel 1968 e vicecampione del mondo nel 1970 con l’Italia, ma campione del mondo (la Coppa Intercontinentale del 1969, oltre a tre scudetti, quattro Coppe Italia, due Coppe dei Campioni e due Coppe delle Coppe) con il Milan.
Ad Avezzano, alla festa, tra la folla, nella concitazione, Marcelli è riuscito a farsi ritrarre insieme con Rivera, ma non ha trovato il tempo per raccontargli che, quando correva, sul telaio della sua bicicletta aveva attaccato due fotografie, come due santini: una fotografia era quella di Fausto Coppi, l’altra proprio di Gianni Rivera. E quei due santini lo ispiravano, lo galvanizzavano, lo spingevano a dare il meglio di sé, a trovare nuove forze, a nutrirsi di nuove speranze. Coppi, il Campionissimo, e Rivera, il Golden Boy.
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