Le cinque strisce sulla maglia bianca sono più sottili, ma ci sono anche il podio e l’inno di Mameli. E, in abbondanza, gioia, soddisfazione, orgoglio. Forse, nascosta perché lui è un leone, anche un pizzico di emozione. Mario Cipollini è campione del mondo master M6 a cronometro. Ad Aalborg, in Danimarca, ha battuto il costaricano Robert Emil Nunes Ann e il britannico Richard Oakes. Cipo, che da martedì tornerà a essere protagonista sul nostro sito con “La zampata”, ha volato i 33 km in 41’46”, a oltre 47 di media.
Mario, adesso di devo chiamare campione?
Risata a crepapelle. «Non scherzare. Naturalmente mi sono divertito perché la gara ti da sempre quel pizzicorino… La mia era più che altro una sfida con me stesso. È anche un mio studio, un mio esperimento. Voglio vedere quanto si può rallentare l’invecchiamento con lo sport».
Immagino che la tua vittoria darà anche ossigeno agli odiatori di professione.
«Si, ho già letto. Sai la cosa più banale che dicono è che corro contro gente che lavora otto ore al giorno. Trattano anche gli altri come sfigati. Eppure ti assicuro che io avevo la mia bella e performante Cipollini, ma i miei aversari non erano da meno, anzi. Tutti avevano una bici da 25mila euro in su. Manubri su misura, bellissimi, in carbonio. Pedivelle mai viste, telai di cui non conoscevo l’esistenza, ruote speciali… ecco, se qualcuno pensa che queste gare siano la sagra del paese corse con bici arrugginite non conosce questo mondo. Ho conosciuto un signore tedesco con diciassette Ferrari nel garage. L’inglese, quello che è arrivato terzo, mi ha detto che il suo body glielo aveva preparato uno studio inglese. Prima un’immagine in 3D, poi cucito su addosso. Costa 3.000 sterline. Lo dovresti vedere, un capolavoro che non hanno nemmeno i migliori professionisti».
Per allenarsi, si dice sempre, ci vuole tempo.
«Soprattutto serve voglia, determinazione. Qui c’era tanta gente con una struttura completa al seguito: meccanici, massaggiatori… La mia struttura era composta da Mauro Scovenna e Mattia Viel. Fine».
Come è nata l’idea mondiale?
«Con Lelli, per scherzo. Poi lui e i suoi amici si sono tirati indietro, si sono arresi. Io ho tirato avanti. Ma alla fine non ero neanche del tutto preparato. Pensa che per mettere la bici a norma ho dovuto tagliare le protesi».
Che aria si respira li?
«Bellissima e bisogna fare i complimenti all’Uci. A queste manifestazioni c’è anche una parte importante di business, però si respira un’aria buona di sport. Sembra di essere un po’ alle olimpiadi dove tutti sono contenti di esserci. Di incontrare gli altri, di stringere la mano ai tuoi avversari. C’è agonismo, competizione, ma non aggressività. C’è proprio una bella atmosfera. Pensa, 3.500 iscritti, gente da tutto il mondo. Ho fatto anche la foto con la mamma di quello che ho battuto».
Dimmi delle sensazioni sul podio.
«Bellissime. Ha suonato anche l’inno di Mameli e per me questo è sempre un motivo di grande orgoglio».
Molti non sanno che questo per te è un ritorno alle origini. Sei il più grande velocista della storia ma hai iniziato la tua carriera da cronoman.
«Con il quartetto del mitico Giosuè Zenoni a Stoccarda 1985, da juniores, ho vinto il mio primo mondiale. C’erano Gallarani, Dametto e Lorenzi».
Domenica si ripete con la prova in linea
«Ci riprovo. Mi butto dentro. È un percorso tipo Fiandre ma con salite meno ripide e su asfalto. Divertente».
Noi parliamo spesso di dati, dimmi i tuoi di oggi.
«400 watt medi per circa 42 minuti, 47,5 di media con un vento che non hai idea».
Mostruoso per l’età. Posso svelare un nostro segreto? La tua idea di tentare il record dell’Ora master? Al velodromo di Montichiari hai già provato dei materiali.
«Bravo. Questo era anche un test per capire e ho avuto ottime risposte. Dopo 23-24 km ho iniziato a sentirmi bene bene».