Estasi d'alta quota. Appare come un arcangelo il vincitore più bello nella tappa più bella (voto a Vegni: 11). Lo chiamavo Teddy molto prima, a maggior ragione lo chiamo Teddy a Livigno, senza bisogno di spiegare perchè. Mai viste, quasi mai, cose del genere, così facili e così mostruose: 15 chilometri di cronoscalata per dare una mano di oro al Giro.
Sì, lo voglio dire oggi più che mai agli esteti del Giro noioso, del Giro monotono, dannazione questo sloveno, ah poter tornare ai tempi dell'equilibrio, dell'«aspettiamo la terza settimana», dell'attacco sempre rinviato, della classifica decisa l'ultimo giorno, negli ultimi chilometri, nell'arco di pochi secondi.
Alzate la testa, seppiati dentro: liberatevi dal vostro conformismo, abbandonatevi al piacere semplice e impagabile del capolavoro, dell'eccezionale, dello sbalorditivo, gustatelo in totale contemplazione. Facciamolo tutti adesso, non perdiamo l'occasione, perchè non sappiamo quando questi prodigi si ripeteranno sulle nostre strade: Teddy quest'anno è venuto per mille motivi, primo fare doppietta, ma non è per niente detto che ci tornerà tanto spesso. E allora gustiamolo, e più di ogni altra cosa diciamogli grazie in coro, perchè la sua è una presenza fantastica, perchè avrebbe potuto mettersi in tasca la maglia rosa (necessaria per la doppietta) con quattro pedalate, invece non fa che spendersi, concedersi, regalarsi, mettendo in piedi un Teddy-show che possono immaginarsi solo a Disneyland. Il motivo, il segreto? Credo sia lo stesso: il primo a divertirsi al Teddy-show è proprio lui, ancora più di noi.
Prego un'occhiata alla classifica: manca la famosa terza settimana e i distacchi non si misurano già più col cronometro, ma coi campanili. Il secondo, Thomas, è lontano una stagione. Di questo passo, a Roma l'unità di misura sarà l'anno luce.
Naturalmente, anche stavolta partono subito i consigli e le raccomandazioni del partito talebano-ortodosso: non deve umiliare gli altri, non deve sbattersi via, la terza settimana deve riposarsi in chiave Tour. In altre parole, viene chiesto a Teddy di tirare i freni. Siamo al paradosso: i primi che dovrebbero incitarlo alla follia, perchè della sua follia ci riempiamo gli occhi e l'anima, sono quelli che lo trovano eccessivo, esagerato, sconsiderato. Ma per piacere, lasciatelo così com'è, folle al punto di perdere (da Vingegaard, al Tour, due volte), ma folle al punto d'essere indiscutibilmente il più grande spettacolo del ciclismo moderno, pari in tutto e per tutto ai Merckx e agli Hinault, con la differenza che lui è solo all'inizio del lavoro. Se un ma-se-però si vuole proprio trovare, non bisogna guardare a lui, ma agli avversari: qui non c'è Vingegaard a parametrare la portata delle imprese, c'è una concorrenza davvero troppo lontana, ma va pur detto che a farli sembrare tutti così piccoli e indifesi, così Calimeri, è anche la grandezza di chi li stacca e li prende a minuti in faccia.
«Ha veramente un'altra marcia», grida il telecronista di Stato Francesco Pancani. Apperò, l'intuizione. Alla buon'ora, ben arrivato sul pianeta terra. C'era bisogno di aspettare Livigno per capire che questo ha un'altra marcia. Avviso ai passeggeri: questo ragazzino sloveno ha un'altra marcia da almeno quattro anni, e per la verità l'ha avuta sempre, anche quando strapazzava i coetanei nelle gare bambine. Comunque sempre meglio tardi che mai. E chissà che da domani si riesca finalmente a prenderlo per come va preso, semplicemente, senza spaccare il capello in quattro e senza cercare il pelo nell'uovo: un campione che non pedala nella cronaca, ma stabilmente dentro la leggenda.
Caso mai, il fatto veramente sorprendente è che questo essere mostruoso in bicicletta, questa spaventosa macchina da combattimento, visto senza bici diventa un ragazzo pallido, efebico, quasi cagionevole, come il compagno di banco che abbiamo avuto tutti, quello consumato sui libri, senza la benchè minima sfumatura olivastra da campetto e da cortile, sì, quello negato in ginnastica, sei per pietà, non roviniamogli la pagella, va così bene in tutte le materie...
Non ha niente del macho, dell'incredibile Hulk, del superman, in altre parole dei grandi atleti muscolari. Nessuna somiglianza neppure con l'Eddy originale, fisicamente sembra il suo bambino. Eppure la forza è la stessa. La forza di gambe, ma più ancora la forza di spirito e di testa, la forza inarrestabile del predatore perenne, del predatore che ha sempre fame. Teddy ha una figura delicata da pianista e una brutale irruenza da marmista.
In questo paradosso, in questa sua minuta enormità, risiede tutto il fascino di un campione per sempre. Anche se perderà ancora, com'è normale che succeda, nessuno lo sposterà più dal suo posto nella storia: lì, dove lo chiamano Teddy.