Le trasferte sono lunghe. I viaggi di rientro dopo una corsa a volte sembrano interminabili. Eppure si ha l'impressione di non essere mai stanchi davvero. Esiste una sorta di stanchezza rigenerativa che si sviluppa quando si fa con passione ciò che si ama.
Il mondo del ciclismo è un mondo meraviglioso, è una grande famiglia che ad ogni stagione si ritrova puntualmente ai classici e ai più recenti vivaci rendez vous. Così ci si sposta per l'Italia, dal nord al sud e dal sud al nord, unendo gli accenti, i piatti tipici di ogni territorio, non solo sotto la stessa bandiera tricolore , ma sotto lo stesso tetto tutti gli amanti delle due ruote.
Si è conclusa da poche ore la frizzante kermesse dedicate alle donne denominata Giro Mediterraneo in Rosa e in tanti ora dalla Puglia sono in viaggio verso la capitale per l'attesa 77^ edizione del Gran Premio della Liberazione custodendo in valigia "l'Alfonsina" del Giro Mediterraneo in Rosa.
Alla sua prima edizione internazionale, la corsa è stata un vero e proprio successo per gli organizzatori che già sono all'opera per il prossimo anno andando a migliorare quei dettagli che la renderanno sicuramente una delle più belle ed ambite corse a tappe women.
L'associazione Black Panthers di Francesco Vitiello e il Gruppo Biesse di Salvatore Belardo, insieme ai loro collaboratori, possono ritenersi più che soddisfatti per la riuscita della manifestazione che ogni anno diventa sempre più prestigiosa. Ventuno le squadre presenti da più parti del globo e 126 le atlete al via, cinque tappe per un totale di 520 km immersi in panorami da restare senza fiato.
Un lavoro di sicurezza degno dei più grandi giri esistenti, grazie anche alle forze dell'ordine che hanno svolto un lavoro eccezionale. La sicurezza in primis, prima di ogni risultato, classifica, maglia che sia.
A fare la differenza in questa edizione, sulle 83 atlete giunte al traguardo è l'irlandese ventitreenne della UAE ADQ Development Lara Gillespie, che dopo aver portato a casa due vittorie di tappa, a Torre del Greco e a Barletta, ha festeggiato la sua meritata maglia Amaranto.
Il livello di preparazione delle donne nel ciclismo cresce in maniera esponenziale e vederle correre da vicino con medie da 37 km/h è semplicemente spettacolare. Vederle alla partenza, vederle spingere sui pedali, muoversi sinuosamente, salire "en danseuse” è qualcosa di incredibile.
In questo spettacolo però un po' di amaro in bocca oggi c'è, l'ho avuto e lo sento ancora. In questi giorni mi sono chiesta quanta davvero consapevolezza ci sia nella nostra società riguardante il nostro mondo. Quanto davvero siamo rispettati come ciclisti. Perché è vero che in corsa c'è un lavoro immane per garantire al massimo la sicurezza, ma quando siamo in allenamento, nessuno è lì per proteggerci.
Nessuno c'era a proteggere Silvia Piccini che tanto ho immaginato fiera, schierata alla presentazione team, pronta con il casco e gli occhiali, il numero sul telaio, la bici ripulita e il suo sorriso, indimenticabile.
L'ho immaginata sgrollare di sudore nei tratti di salita più duri, aiutare una compagna in difficoltà e sprintare grintosa al traguardo. L'ho immaginata fra le prime in classifica. Poteva esserci. Poteva.
Oltre alle sue potenzialità sportive, era una studentessa modello e sognava di essere medico un giorno. È morta esattamente 3 anni fa, è stata uccisa mentre faceva ciò che più la rendeva felice, è stata urtata violentemente da un'auto mentre si allenava in bicicletta non distante dalla sua casa in provincia di Udine, aveva solo 17 anni.
Nonostante sia stato riconosciuto dal Tribunale di Udine che la giovane Silvia non ha commesso alcun errore e che la responsabilità della sua morte è di chi l’ha investita, nonostante il nostro ordinamento preveda il reato di omicidio stradale, Silvia così come la sua famiglia non hanno avuto giustizia.
Era il 20 aprile 2021 quando Deyanira, la sua cara mamma, ha visto uscire la figliola per allenarsi come sempre, senza mai più vederla rincasare. Da allora non si dà pace ed insieme al marito, con coraggio, portano avanti progetti e manifestazioni per sensibilizzare al massimo sul tema della sicurezza dei ciclisti su strada. Hanno fondato anche un'associazione in memoria di Silvia e sono di supporto a tutte quelle famiglie lasciate a loro stesse dopo una perdita ed un trauma simile, collaborando con diverse società ciclistiche ed avendo un occhio di riguardo per il settore giovanile.
Se negli ultimi 20 anni la mortalità a causa di incidenti stradali è scesa del 60% per gli automobilisti non si può dire lo stesso dei ciclisti, che sono ancora fra gli utenti più deboli della strada. La strada è pubblica, di tutti quindi, e di conseguenza tutti devono essere rispettati, ma così non è e i numeri delle vittime parlano chiaro: nel 2022 più di 230 morti, quasi 200 le vite spezzate nel 2023 e almeno 45 dall'inizio dell'anno ad oggi.
Senza contare le migliaia di ciclisti che vengono coinvolti in incidenti, feriti gravemente a causa del poco rispetto, della poca considerazione, della distrazione alla guida e dell’alta velocità da parte di molti, troppi automobilisti, che spesso non si assumono neanche la responsabilità e scappano via lasciando inanimata la vittima a terra, come nel caso di Rebellin.
Quanta strada dobbiamo percorrere ancora… contiamo… contiamo i morti, dimenticando chi fossero: persone, esseri umani, vite, con sogni, progetti, ambizioni.
Chi non dimentica è chi ora è a casa, dove c'è una sedia vuota, una stanza chiusa che si ha difficoltà ad aprire, un Natale, un compleanno che non sono più gli stessi e un giorno nero del calendario che si ha voglia di bannare.
Non dimentichiamoci mai di Silvia Piccini e dei tanti giovani che come lei oggi sono anime angeliche con splendenti medaglie al collo, quelle della speranza, la speranza di una società diversa, più giusta, più vera, più rispettosa, più umana.
L'idea di una Italia migliore, orgogliosa e degna di sé stessa, libera.
Libertà per cui, c'insegna la storia, hanno lottato i 250.000 partigiani e che ricordiamo ogni anno il 25 aprile.