Undici salite lunghe e severe più l’incognita meteo, che dalle temperature rigide al vento e alla pioggia offre un vasto campionario di difficoltà: si spiega così la durezza della Liegi-Bastogne-Liegi, la decana delle grandi classiche in quanto la prima a veder la luce. Ai chilometri (254,5) abbina il dislivello (quasi 4300 metri), che le fanno condividere l’effimero titolo di corsa più tosta con il Lombardia (come se le consorelle fossero morbide…): percorso nel solco della tradizione, con la cote de La Roche aux Faucons (1,3 km all’11 per cento) riportata in fondo, come ultimo e supremo giudice. Classica monumentale in tutti i sensi, destinata a consegnarsi al più forte: che negli ultimi quattro anni abbia premiato Roglic, Pogacar e due volte Evenepoel spiega abbastanza. Stavolta non ci sono Roglic e Evenepoel, entrambi in convalescenza, in compenso torna il confronto fra fenomeni, Pogacar e Van der Poel, come alla Sanremo. Dodici le vittorie italiane (con quattro di Argentin e due a testa di Bartoli e Bettini), l’ultima nel 2007 con Di Luca. Ecco le dieci facce che si candidano all’albo d’oro.
Tadej Pogacar. Vince perché nelle classiche più dure gli riesce spesso, perché con questa corsa ha un conto aperto dopo l’incidente di un anno fa, perché quando dice di aver voglia di tornare a correre fa sfracelli. Non vince perché, come ha già provato sulla propria pelle, devi avere dalla tua anche la buona sorte.
Mathieu Van der Poel. Vince perché in questa stagione l’ha fatto in tre delle sei gare disputate, perchè questa è una delle classiche che gli manca, perché ha risparmiato energie all’Amstel per farsi trovar pronto sulle cote. Non vince perché questa è la classica meno adatta a lui e ha contro il più adatto a questo tracciato.
Alexey Lutsenko. Vince perché ha la forma giusta per farlo, perché questi sono i percorsi che piacciono a lui, perché ha fatto di tutto per arrivare pronto a questo appuntamento. Non vince perché in questa classica, quando non si è fermato prima del previsto, non ha mai messo il naso davanti.
Mattias Skjelmose. Vince perché è adattissimo a questo percorso, perché l’aria dell’alta classifica in questa gara l’ha già respirata, perché a dispetto dei suoi 23 anni si è già rivelato uomo da classiche del Nord. Non vince perché nei momenti chiave gli manca ancora qualcosa per essere al passo dei più forti.
Tom Pidcock. Vince perché è nel momento di forma migliore, perché la vittoria all’Amstel gli ha regalato una bella dose di consapevolezza, perché il secondo posto di un anno fa è un bel punto di partenza. Non vince perché spesso perde l’attimo giusto e la Liegi è una corsa che non te lo consente.
Santiago Buitrago. Vince perché ha puntato tutto su Freccia e Liegi, perché non chiudi al terzo posto come un anno fa se non hai le qualità per questa classica, perché con Bilbao, Poels e Tiberi potrebbe inventarsi la strategia giusta. Non vince perché in corse come questa non basta soltanto andar forte sulle salite.
Dylan Teuns. Vince perché è la classica che ha frequentato di più, perché vuol chiudere alla grande una primavera in cui ha corso sempre all’avanguardia, perché può contare sull’entusiasmo di Williams e l’esperienza di Fuglsang. Non vince perché gli manca sempre qualcosa per esser migliore dei più forti.
Romain Bardet. Vince perché è uomo da corse a tappe che ama le classiche più dure, perché al Tour of the Alps si è preparato a dovere, perché dopo tanti piazzamenti è giunto il momento di raccogliere. Non vince perché è uomo da salite lunghe e in questa classica quelle corte finiscono per logorarlo.
Tiesj Benoot. Vince perché sta vivendo un’ottima primavera, perché questa è la classica dove ha ottenuto i piazzamenti migliori, perché correre da leader della Visma si sta rivelando uno stimolo in più. Non vince perché ha già sulle gambe Fiandre, Amstel e Freccia e alla fine anche i serbatoi più ricchi iniziano a vuotarsi.
Davide Formolo. Vince perché è l’unica grande classica in cui ha centrato il podio, perché si è presentato al Nord con questo obiettivo, perché con Velasco e il sempre atteso Bagioli è fra i pochissimi che possono dare una gioia all’Italia. Non vince perché esser bravi a far corsa di testa non significa poterla chiudere da vincitore.