Immaginate il ciclismo italiano tutto seduto all’interno di un’aula e di sentire tutte le mattine, al momento dell’appello, una voce che risponde “assente” praticamente dall’inizio dell’anno.
Ed è una delle assenze che in assoluto si notano di più perché il banco vuoto - e destinato a rimanere tale ancora per un po’ - è quello di Gianni Savio. Non gli era mai capitato, in una vita intera dedicata al ciclismo, di restare tanto lontano dal suo mondo.
«Sono bloccato in casa da tre mesi ormai, in una sorta di prigione dorata. Una caduta banale mi ha provocato la frattura di due vertebre e l’incrinatura di una costola: devo portare un bustino, muovermi con cautela, sottopormi a sedute di fisioterapia e... annoiarmi».
A vegliare o sorvegliare la convalescenza di Gianni c’è la moglie Paola, ad allietare le sue giornate c’è il nipotino Edoardo, figlio di Nicoletta e di Fabio Felline, che a fine maggio compirà tre anni.
«Proprio per questo ho parlato di prigione dorata, perché sto bene e non mi manca nulla... a parte il ciclismo. Seguo tutte le corse in tv, la prima cosa che faccio al mattino è leggere tuttobiciweb sullo smartphone, sono in costante contatto con i tecnici della nostra squadra, la Petrolike Forte Sidermec, ma mi mancano le corse, gli incontri al villaggio di partenza, le riunioni con i corridori, l’adrenalina dell’ammiraglia... Dopo più di quarant’anni in giro per il mondo, questa è una sosta che pesa. E non è finita, perché dovrò restare in bacino di carenaggio fino a fine maggio, poi spero di avere finalmente il via libera».
Gianni, veniamo alla stagione in corso: come stanno andando le cose?
«Siamo stati protagonisti di un buon inizio stagione perché vi assicuro che, pur essendo una corsa di secondo piano, vincere la Vuelta a Tachira non è mai semplice. Noi invece abbiamo conquistato due vittorie di tappe e il successo finale con Caicedo. Poi è arrivata dal Messico la vittoria di Nelson Soto nel Gp Queretero, ma quello è stato l’ultimo acuto. Da quando la squadra è sbarcata in Europa, abbiamo esordito nel Trofeo Laigueglia, non siamo più riusciti a metterci in evidenza. Le cose migliori le stanno mettendo in mostra i più giovani, che stanno affrontando in questo mese di aprile il calendario delle corse internazionali in Italia e non solo. Sono i giovani che stanno preparando al meglio il Giro Next Gen. Lo scorso anno, con una squadra che aveva sicuramente più qualità, siamo stati protagonisti con due uomini nella top ten finale - Gomez quarto e Umba nono - e quest’anno vogliamo provare a far nuovamente bene. Faremo un collegiale di preparazione, metteremo a disposizione dei ragazzi ogni risorsa e tutta l’esperienza della struttura che guidiamo Marco Bellini ed io. Un nome da seguire? Il messicano José Ramon Muñiz, ha 21 anni ed è stato il miglior giovane al Tour Colombia».
Sbagliamo nel dire che vi hanno un po’ tradito i corridori più esperti?
«Purtroppo è così. Il proprietario del team, Don Hector Guajardo, che è anche il signor Petrolike, ha voluto fortemente ingaggiare Camargo e Caicedo in uscita dalla EF Education Easypost, ma i due non hanno saputo prepararsi come avrebbero dovuto e, una volta sbarcati in Europa, hanno cominciato ad inseguire la condizione ma è un gioco che nel ciclismo di oggi non si può più fare».
Ultima domanda: cosa bolle in pentola per il 2025?
«È una domanda che al momento non ha risposta, per due motivi. Il primo riguarda il passato, ovvero quel che è accaduto al nostro team: Marco Bellini ed io siamo rimasti tramortiti dalla mazzata ricevuta dalla Drone Hopper che non è stata in grado di onorare il contratto, costringendoci ad un mezzo miracolo per salvare il salvabile e per questo continuamo a ripetere il nostro grande grazie a Pino Buda. Il secondo motivo sta a cavallo tra presente e futuro: il mio primo obiettivo ora è la salute e solo una volta che sarò riuscito a risolvere questo problema potrò pensare al futuro. Ma una cosa è certa: ho una grande voglia di tornare in gruppo e continuare a divertirmi con questa maledetta passione che è il ciclismo».