Venerdì 5 aprile Renzo Zanazzi compirà 100 anni. Si dovrebbe scrivere: avrebbe compiuto. Ma quel diavolo di un corridore, gregario di Bartali, Coppi e Magni, tre giorni in maglia rosa nel 1947, morto 10 anni fa senza riuscire a tagliare il traguardo dei 90, sembra ancora, sempre, magicamente, ciclisticamente vivo. Così si è pensato ad altri due giorni con lui: il 5 aprile, dalle 18.30, al Vigorelli di Milano, 100 minuti a parole; e il 6 aprile, dal negozio di Rossignoli di corso Garibaldi, a Milano, 100 km a pedali.
Zanazzi – o Zanass, come più agilmente e musicalmente sfrecciava in milanese – non era Bartali né Coppi né Magni, ma a suo modo molto di più. Mantovano, subito milanese. Primo di tre fratelli (gli altri, Valeriano e Mario), tutti e tre professionisti nel secondo dopoguerra, lui il più talentuoso, forse il più affamato, almeno per carattere. Tre vittorie di tappa, e – come già scritto – tre giorni primo in classifica al Giro d’Italia. Altri successi da gregario, Legnano e Ganna, con il rischio di essere licenziato per palese disobbedienza agli ordini di scuderia, e da capitano, Cimatti e Arbos, finalmente con la licenza di fare la propria corsa.
Poi una vita da allenatore (anche da stayer: è stato Stefano Allocchio a ribattezzarlo Manettino Kid), tecnico (nella Compagnia militare a Milano), direttore sportivo, dirigente, azzurro d’Italia, vecchia gloria, organizzatore (nonché partigiano, e postino, più di guerra che di pace, in bicicletta, senza mai entrare in un giardino dei giusti: ma questo era il suo destino). E, sempre a suo modo, autentico e originale, istintivo e sincero senza il timore di inimicarsi chi faceva valere mostrine e raccomandazioni, testimone della propria epoca. Sulle strade della bassa milanese, quelle verso il ponte di barche sul Ticino, quelle verso l’abbazia di Morimondo, era una presenza costante, tenace, ostinata, familiare, coraggiosa, allegra. Un ambasciatore in braghe corte. Un missionario che si attaccava alle ruote dei più giovani, li spingeva ad aprire il gas e poi mulinare, fino a spremerli, a sfinirli, e a quel punto usciva finalmente dalla loro ruota, li sorpassava e con l’aria più innocente che si possa immaginare, gli domandava: tutto qui?
E allora: 100 minuti a parole e 100 km a pedali. A parole, a una condizione: chiunque abbia una buona storia, non solo su Renzo, ma sulla bici o sul ciclismo, può – anzi, deve – raccontarla, ma che non superi i tre minuti. Niente comizi. E a pedali, a una condizione: che non si faccia come lui, Zanass, spingendo ad aprire il gas, perché non è una corsa, non è una gara, non è una competizione, ma il nostro modo per elogiare e inneggiare alla vita.
A parole, ci saranno – fra gli altri – Marino Vigna e Franco Cribiori, Dino Zandegù e i Fusar Poli (Marino e Luciano), Alberto Morellini e Domenico De Lillo, Alfredo Bonariva e lo stesso Allocchio, Morena Tartagni e Rossella Galbiati, soprattutto Ernesto Colnago. Poi giornalisti e scrittori, da Claudio Gregori a Giacomo Pellizzari, da Sergio Meda a Gianfranco Josti, da Gino Cervi a Filippo Cauz, da Paolo Costa a Pier Augusto Stagi. Perdonatemi omissioni e dimenticanze. Comunque sarà una rimpatriata, una festa, uno spettacolo, quelli di un gruppo compatto.
E a pedali, nessun dorsale, nessun pacco-gara, ma solo voglia di vivere sudando. Quella che fa ancora vivere, e sudare, il nostro diabolico Zanass.
Per informazioni: https://turbolento.net/i-100-di-zanazzi/
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