Che potesse avere un futuro tra i grandi era chiaro, ne avevamo anche già parlato, ma che Markel Beloki, classe 2005, fosse già tra i professionisti nel 2024 non era così facilmente prevedibile. Il figlio di Joseba ha esordito in maglia EF Education-EasyPost al Challenge Mallorca 2024, dopo aver fatto il salto direttamente dalla categoria juniores, dove aveva mostrato ottime cose soprattutto nel calendario nazionale spagnolo.
Ad applaudirlo in queste giornate maiorchine c’erano, emozionati, anche i suoi genitori. «Sto rivivendo quelle sensazioni che provai io tanti tanti anni fa - ha detto Joseba Beloki, tre volte sul podio finale del Tour de France nel 2000, 2001 e 2002 -. Sono momenti che capitano una sola volta nella carriera di un corridore. Anch’io debuttai a Maiorca, solo che avevo 25 anni, lui ne ha 18… È un corridore diverso da me, è più alto, sfiora i 185 cm, ed è più portato per le cronometro. Ha fatto una scelta saggia a passare con la EF».
Nel WorldTour solo l’americano Andrew August (Ineos Grenadiers), nato a ottobre, è più giovane di lui, nato a luglio, ma il baby Beloki sa che avrà tutto il tempo per crescere e, per il momento, non deve dimostrare nulla a nessuno. «Sto realizzando il sogno che avevo da quando ero piccolo, ovvero quello di diventare un ciclista professionista - ha detto il giovane basco, che vive a Vitoria-Gasteiz, nelle parole riportate da AS -. È arrivato il momento, e farlo nel WorldTour è speciale. Nel momento in cui mi è arrivata la proposta non ci ho pensato due volte. Non è una decisione che ho preso a caso, ci ho riflettuto e mi sono fatto consigliare dalle persone che ho attorno».
Markel è un corridore moderno, alto ma con buone doti in salita e a cronometro. Neanche a dirlo, il sogno è quello di conquistare l’unico gradino del podio che papà Joseba non ha conquistato al Tour, ovvero il primo, anche se ammette che, per il momento, “è qualcosa che vedo molto lontano”. «Ai training camp di quest’inverno quando mi trovavo di fronte certi corridori… beh, facevo fatica a crederci. Mi ha impressionato la struttura che c’è dietro una squadra professionistica, la quantità di persone che ci lavorano, come tutto sia organizzato. L’unico obiettivo quest’anno è riuscire ad imparare il più possibile, godendomi la vicinanza ai grandi campioni e, ovviamente, soffrendo con loro».
E il cognome che porta, per quanto pesante, non sarà un problema: «Mi rende solo orgoglioso!».
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