Non capita tutti i giorni di imbattersi in un testing officer di ITA, che non è la nostra compagnia aerea ma la International Testing Agency: in pratica, coloro che effettuano i controlli anti-doping per tantissimi sport tra cui il ciclismo. Ci è capitato ieri al Coni Lombardia a Milano: appena terminata la sua lezione ai neoprofessionisti sul sistema ADAMS, abbiamo rivolto a Kevin Dessimoz una domanda secca e diretta.
"In definitiva, possiamo dire che i ciclisti sono più tartassati dall'anti-doping rispetto a tutti gli altri sportivi?"
Questa la risposta di Dessimoz, che abbinando due cliché svizzeri parte con estrema diplomazia ma poi l'amore per la precisione vince su tutto: «Difficile fare paragoni con le altre discipline, poiché ognuna segue un proprio programma e sono tutti molto diversi gli uni dagli altri. Comunque, mediamente, ITA effettua su ogni atleta 4 test all'anno ma in caso di situazioni particolarmente a rischio possiamo arrivare a 8-10 test annui. Nel ciclismo effettuiamo 5000 test fuori competizione e 4000 in gara.»
Fermiamoci un attimo a calcolare. Se la somma dei test annui complessivi è circa 9000, e tra World Tour e Professional sono circa mille corridori, significa che ognuno viene testato circa nove volte a stagione: perfettamente in media con gli 8-10 controlli legati alle situazioni ritenute più a rischio. Una conferma di quanto i dati ufficiali rilevano da anni: i ciclisti, in proporzione anche al numero di tesserati, è quantomeno sul podio degli sport più attenzionati e dunque "tartassati" dall'anti-doping.
Quando lo facciamo notare a Dessimoz, lui ci spiega che «dipende da quanto ciascuna Federazione internazionale decide di investire in questo settore: nel ciclismo abbiamo la UCI, gli organizzatori delle gare e le squadre professionistiche che pagano parecchio per i controlli». A seconda che la si veda positivamente o negativamente, quindi, questa particolare attenzione dei controllori anti-doping nei confronti dei ciclisti è "merito" o "colpa" dell'Unione Ciclistica Internazionale.