Era il 1° settembre 1957. Domenica. Aveva 18 anni. Indossava la maglia biancoceleste della Pavullese. E giocava in casa. Quel giorno si correva la Modena-Pavullo, 70 chilometri, a cronometro. Per lui valeva più del campionato del mondo.
Meo era di Pavullo, anche se nato a un respiro, a Sassostorno di Lama Mocogno. Perché Meo apparteneva a Pavullo, ne era proprietà e vanto. Figlio del popolo, beniamino della gente, fuoriclasse del ciclismo. Interpretava i sogni, rappresentava i desideri, incarnava le aspirazioni degli sportivi – si chiamavano così – delle due ruote, orfani di Bartali e testimoni di Coppi, l’ultimo, quello del tramonto. Meo appariva a tutti, a cominciare dai pavullesi che ne cantavano gesta e lodi, come il suo erede.
Quel giorno Meo stravinse. Lo faceva quando, soltanto quando lo voleva veramente, cioè quando lo sentiva veramente. E la Modena-Pavullo, l’arrivo nella sua Pavullo davanti al suo popolo, la sua gente, i suoi sportivi, era una questione di orgoglio, di appartenenza, di vita o morte.
Domenica 10 settembre, 66 anni e nove giorni dopo la cavalcata di Romeo Venturelli profeta in patria, riecco la Modena-Pavullo: 99 chilometri, sul tracciato della storica via Giardini, in linea, solo per juniores. La gara è organizzata dalla Ciclistica Pavullese, con la collaborazione del Comitato provinciale modenese e il patrocinio dei comuni di Modena, Formigine e Pavullo oltre che della Provincia di Modena. Le operazioni di partenza si terranno a Modena presso la Polisportiva Gino Nasi, sede della società ciclistica giovanile Fausto Coppi Gino Nasi.
La competizione prevede i primi 70 chilometri su un tracciato tutto pianeggiante, per poi arrivare a Maranello con il passaggio dinanzi all’ingresso della Ferrari Auto e da lì iniziare l’ascesa di 17 chilometri verso il gran premio della montagna posto in localiltà Serramazzoni (a quota 769 metri), una discesa di 12 chilometri verso Pavullo, con il chilometro finale in leggera salita nel borgo di Pavullo nel Frignano e l’arrivo nella centrale piazza Cesare Battisti. Proprio qui c’è la stele che Pavullo ha dedicato al suo amatissimo Meo.
Il ciclismo è lo sport della memoria. Non per nostalgia, anche se può spesso conviverci. Non per moda, anche se può talvolta crearla. Il ciclismo ricorda per rispetto e gratitudine, per dare un’eco alla storia e regalare un’immagine alla geografia. Così la Modena-Pavullo diventa anche un viaggio dentro di noi. E in quei bambini che abitano ancora dentro di noi.
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