RITORNO AL FUTURO. “Memento audere semper”, ha impresso sulla pelle. Ricorda di osare sempre. È il motto di Simone Velasco, che a Comano Terme ha osato e vinto il titolo italiano al termine di una corsa dura e fiaccante. Ricorda di osare, è quello che gli ricorda sempre il suo nuovo tecnico dell’Astana Giuseppe Martinelli, già guida di Pantani e Simoni, Cunego e Garzelli, Nibali e Aru: insomma, a suo modo anche “Martino” è un collezionista come Simone. Il neo tricolore colleziona vespe, Martino vittorie, sperando di insegnargli come si fa.
Intanto questo «elbano di Bologna», come ama definirsi lui, si è vestito di quella maglia che sognava fin da bambino. È un ragazzo di 27 anni, un tempo l’età giusta per spiccare il volo. Era l’età della fine dell’innocenza e della maturazione, degli Indurain e dei Bugno, di quella generazione di corridori che cominciavano a raccogliere i frutti dopo un’attenta crescita e maturazione. Con Velasco il ciclismo italiano fa un passo indietro, non certo nella qualità, ma nella direzione di un ritorno al futuro che ci riporta a quel ciclismo là, a quello degli Anni Novanta, dove i corridori avevano bisogno di più tempo per maturare e comprendere il proprio valore.
Il suo è un ciclismo un po’ seppiato, da dolci amarcord, che però non va trattato con sospetto: va accolto. Cullato. Protetto. Come si fa con qualcosa di prezioso che pensavamo d’aver perso e come d’incanto abbiamo ritrovato. Velasco è anche un ragazzo di memoria e di grande sensibilità, che sul traguardo di Comano ha ricordato Giulio, un caro amico, oltre a Gino (Mäder), morto in un dirupo al Giro di Svizzera e Umberto (Inselvini), il suo massaggiatore, morto improvvisamente questo inverno per un infarto.
“Memento audere semper”, ha impresso il tricolore sulla pelle. Ricorda di osare sempre. Simone ha osato e ricordato. Speriamo che lo faccia ancora, che lo faccia se non sempre, il più possibile.
FACCIAMOCI UN CAFFÈ. Non abbiamo più uno sponsor nel World Tour, tolte le biciclette: anche queste, però, italiane non lo sono in pratica quasi più, visto che sono entrati Fondi esteri. Con i campionati italiani, la Segafredo ha lasciato ufficialmente il ciclismo, in punta di piedi, con poche celebrazioni, con pochi ringraziamenti per quello che ha fatto in questi sette anni e mezzo, visto che in gruppo è entrata nel 2016, al fianco di Trek. Fine delle trasmissioni. Fine di un’era che porterà chiaramente il team americano ad una internazionalizzazione sempre più evidente. Senza un partner italiano, anche l’italianità della formazione diretta da Luca Guercilena sarà difficile sia da attuare, ma anche da continuare. Dobbiamo essere pronti: già non abbiamo talenti da far passare nella massima serie, tra poco nessuno li cercherà perché non c’è più un motivo di mercato. Più che caffè nero bollente, per noi resta il nero. Troppo catastrofista? Forse, ma questo è quello che temo, nel frattempo mi vado a fare un caffè.
BUYOUT. È la parola d’ordine del momento, che potrebbe diventare anche nel ciclismo di assoluto uso comune, anche se adesso ha ancora un’accezione di stretta attualità. Insomma è in uso poche volte e per pochi eletti. In questo caso l’operazione di “buyout” potrebbe essere attuata da Ineos per acquistare Evenepoel (sarebbero pronti più di venti milioni di euro) il contratto in essere con la Soudal Quick-Step che l’ha bloccato fino al 2026. Sono voci ricorrenti, ma quando le voci diventano insistenti, non si può far finta di nulla.
La Ineos fa sul serio, ha più volte parlato con il papà di Remco, Patrick Evenepoel, il quale si è fatto sentire con l’altro Patrick di questa vicenda, Lefevere, il manager del team belga che non solo si è fatto legare metaforicamente ad un palo per non cedere al canto delle sirene britanniche, ma sta facendo di tutto per trovare un Fondo e bloccare definitivamente e a doppia mandata il campione del mondo belga.
Ineos fa sul serio (sul tavolo un contratto per l’iridato da 10 milioni di euro per cinque anni), anche perché ha assolutamente bisogno di tornare figura centrale di un movimento che da almeno tre anni la vede comprimaria, a fronte di un budget che non ha eguali (più di 50 milioni di euro) nel panorama World Tour. Di contro Lefevere sa che il bimbo iridato è il talento del futuro, troppo importante per lui, troppo importante per una nazione come il Belgio. Se fossimo in Remco ci penseremmo due volte: quel che è in Belgio non lo sarà Oltremanica. Quello che può fare a casa sua, non lo potrà chiaramente fare alla corte del colosso della chimica. Lefeevre conta sul fatto d’aver creato uno spazio in cui Remco è l’unico Re riconosciuto e indiscusso. Alla Ineos possono anche ricoprirti d’oro, ma in Gran Bretagna un Re ce l’hanno già da un po’.
Editoriale da tuttoBICI di Luglio