Nella 4ª tappa del Giro Next Gen 2023 - ma che strano nome, non era il Giro d’Italia Internazionale Under 23? - 31 corridori espulsi dalla corsa per essersi fatti trainare lungo i 21 km della salita dello Stelvio. A conti fatti, al netto dei ritirati, il 18% dei 172 partiti. Sarebbero stati di più se solo si fosse riusciti ad identificarli con certezza.
Un disastro, un autentico patatrac: per l’immagine del Giro, l’impegno degli organizzatori, l’etica sportiva, la qualità e la reputazione dei corridori protagonisti e di parte dei loro direttori sportivi, forse anche la reputazione del nostro ciclismo nazionale.
Chi grida alla vergogna, chi dice “dovete chiedere scusa e basta”, chi viene sepolto dagli improperi al solo accennare che, sempre, in questo genere di corse, si è usata tolleranza nei confronti dei meno preparati e, in particolare, nelle tappe più dure.
Se dette con educazione, se dette mettendoci la faccia, io credo che tutte le opinioni vadano ascoltate per poi, se possibile, trarne il dovuto insegnamento, piuttosto che alzare troppo i toni, senza avere mai il pudore di riconoscere che spesso si diventa “giudici” o “bravi maestri” soltanto quando certi filmati non possono più nascondere ciò che i nostri occhi avevano già visto molte altre volte in precedenza, senza che mai ci fosse, per pigrizia o convenienza, un nostro atto di rifiuto o di denuncia.
Amo il ciclismo, e insieme alle sue virtù credo di conoscere anche molte delle sue debolezze, ma non me la sento di gridare allo scandalo né di essere sorpreso, come si fosse raggiunto un punto di non ritorno, da cui riscrivere praticamente tutto o quasi. Dispiaciuto si, ma distante da quelli che definiscono i nostri Dilettanti come dei “bamboccioni” da pedali, per i quali addirittura proporre agli organizzatori di non usare più nessuna indulgente attenzione, tacendo che oggi le corse a tappe come il Giro d’Italia Under 23 (perdonate se mi ostino a chiamarlo in questo modo) non sono più gare per Dilettanti, come vorrebbe la sua anima originale, ma gare ad appannaggio dei team Professional e Continental. Di fatto corse a tappe per Professionisti (o quasi) di età massima di 22 anni, dove i normali Dilettanti, espropriati del loro naturale terreno di crescita, rischiano di essere aggiunti per fare numero, umiliati dai colleghi che, per vincere, hanno spesso abbandonato la scuola e ogni proposito di darsi una istruzione per il domani.
Senza con questo negare che un pizzico di formazione sportiva ed etica in più, al posto dei soli watt del computerino, non guasterebbe. Fors’anche utile ai loro tecnici e manager.
Ma torniamo al “fattaccio”. Quasi tutti i commenti portano ad una unica sintesi: hanno sbagliato i corridori ed i loro direttori sportivi, un comportamento inaccettabile, da non ripetersi assolutamente più. Punto e basta!
Allora io mi domando, possibile che in tutto questo “calderone”, la responsabilità sia soltanto di chi ha errato e non anche di chi, avendone la facoltà, poteva preventivamente o tempestivamente intervenire per evitare che si arrivasse a tanto?
Escludo gli organizzatori, che oltre a non doversi interessare del controllo tecnico-disciplinare della corsa non hanno convenienza che troppi corridori siano rispediti a casa col rischio di finire il Giro con meno della metà dei corridori. Ma il Collegio dei Commissari lo vogliamo tirare in ballo, oppure, applaudirlo solo per il suo indefesso rispetto delle regole?
Alla riunione tecnica preliminare al Giro, i Commissari avevano opportunamente richiamato i direttori sportivi ad essere corretti e disciplinati in ogni circostanza, e tale raccomandazione anche in occasione del briefing degli addetti alla scorta e alla sicurezza. Come è normale che sia e che avvenga ogni volta, col giusto piglio di chi vuole che le cose nascano nel modo più opportuno.
I Commissari hanno anche fatto altro, e con molto buon senso, proprio per la tappa dello Stelvio, hanno portato il tempo massimo fino al 18% del tempo del vincitore, qualcosa come 37 minuti, un tempo sensibilmente più altro di quello inizialmente previsto.
Le attenzioni preliminari quindi non sono mancate. Ma come ciascuno di noi rispetta il codice della strada più per il timore delle multe che del nostro senso di responsabilità, andava previsto che poi, in gara, si dovesse vigilare per evitare che non accadesse quello che tutti (se dotati di un minimo di esperienza) potevano supporre sarebbe accaduto.
Parliamo di un Collegio che dispone di 4 auto e 3 moto. Un apparato ampiamente sufficiente per svolgere una razionale vigilanza e per effettuare, in prima battuta, i previsti ammonimenti verbali per far cessare sul nascere i comportamenti scorretti ancor prima che questi possano portare a provvedimenti pesanti come la penalizzazione o addirittura l’espulsione.
Che cosa è avvenuto invece? Che molti corridori, troppi, almeno una quarantina, ad un certo punto della salita, sono rimasti lontani da ogni presenza dei Commissari, tanto da – questo è quello che mi sento di sostenere - dare ai corridori e ai loro direttori sportivi l’impressione che anche questa volta, come per altre occasioni, sarebbe stato possibile fare i “furbetti” facendosi trainare secondo il «fai ma non vedo» e il detto-non-detto «tanto questi non portano via il pane a nessuno, lasciamogli almeno la soddisfazione di finire la gara». A conti fatti, quasi un terzo dei corridori è salito senza alcun controllo.
Se non che, ecco la grande-falsa differenza, come nelle cose più prevedibili di questo mondo, qualcuno ha filmato il transito di questi attardati, facendo diventare il fatto di pubblico dominio attraverso la rete e quindi obbligare, a questo punto, e soltanto a questo punto, il Collegio dei Commissari a prendere gl’inevitabili provvedimenti per non macchiarsi a sua volta di incapacità o ipocrisia. Per giunta in due volte, uno alla sera e uno alla mattina dopo, mano a mano si visionavano i filmati che riportavano ciò che in gara solo altri avevano osservato.
Peccato che in questo “zibaldone” ci siano cascati anche alcuni poliziotti della Stradale, dando luogo anche a commenti ingiusti rispetto alla loro normale serietà, professionalità ed impegno. Magari se avvertiti in tempo dai direttori di corsa, si poteva evitare anche questo.
Siamo al paradosso. Senza quei filmati galeotti, non si sarebbe discusso di nulla se non del solito tran-tran, oppure, continuato a tacere di “certe cose”. Con quei filmati, invece, si è provocato il finimondo.
Penso quindi che, senza trascurare le responsabilità dirette di chi ha infranto i regolamenti e l’etica sportiva, se un futuro migliore possiamo costruirlo, meglio sarebbe trasformare un guaio in una utile occasione per riflettere sulle fragilità e sui limiti di ciascuno di noi, anche quando si hanno incarichi importanti, di prestigio, in ogni caso decisivi.
Per me, lo Stelvio è, e resta, una lezione per tutti, anche per quelli che non sono stati espulsi.