Dai primi giorni di questa settimana vi abbiamo raccontato il Tour de Maurice, vi abbiamo riferito delle gesta degli atleti e dei risultati agonistici: abbiamo celebrato la vittoria finale di Archie Cross, 28enne britannico che ha scritto il suo nome nell’albo d’oro della corsa come fece nel 2006 Chris Froome.
Ma, a margine della competizione, cosa ci ha lasciato il Tour de Maurice, quali emozioni e quali immagini ci rimangono di questa corsa in quattro tappe che si svolge a tredici ore di volo e più di 8000 chilometri dall’Italia in una piccola, multietnica, laboriosa, colorata e bellissima isola dell’Oceano Indiano?
“Il ciclismo è sempre più globale”, abbiamo scritto aprendo la cronaca della prima tappa, ed è proprio questo uno dei punti chiave. Conoscendo bene quel popolo e quei territori crediamo di poter affermare che i mauriziani hanno compreso il potenziale del ciclismo globale e cerchino, grazie alla bicicletta, di farsi conoscere, ma soprattutto di “ridurre la distanza” che separa quell’isoletta che profuma d’Africa, India ed Oriente dal resto del mondo.
Per avvicinarsi al mondo gli organizzatori del Tour de Maurice hanno puntato molto sulle immagini e i social media: attraverso il profilo facebook della corsa è stato possibile seguire le prove quasi integralmente. Ed è grazie a quelle riprese che nei quattro giorni passati abbiamo seguito i ciclisti mentre pedalavano a due passi dal mare oppure nel mezzo della vegetazione rigogliosa. O ancora, poco distante dalla famosa “terra dai sette colori”. L’audio che arrivava in presa diretta dalla “moto-ripresa” al computer, ci ha fatto apprezzare l’entusiasmo dei mauriziani coinvolti nell’evento, l’incredulità della popolazione locale che veniva “sorpresa” dal passaggio della carovana, la gioia degli scolari che applaudivano dal bordo della strada al passaggio degli atleti ma anche le interviste “chiacchierate” e genuine nell’immediato dopo tappa in attesa delle premiazioni.
Non solo social però: amici mauriziani ci assicurano che i momenti salienti delle varie frazioni sono stati trasmessi da diverse televisioni, anche internazionali.
Analizzando, solo brevemente, i percorsi proposti nei quattro giorni di gara siamo stati colpiti dalla varietà di proposte: abbiamo visto tappe vinte in volata, frazioni che hanno sorriso agli attaccanti e una tappa “di montagna” con pendenze impegnative e arrivo in quota ai 700 metri di Gran Bassin. Senza dimenticare la cronometro a squadre, totalmente pianeggiante di venti chilometri.
Ovviamente il Tour de Maurice ha avuto tappe dal chilometraggio non confrontabile con quello delle gare a tappe europee: per esemplificare Grand Baie, una delle località turistiche più conosciute a nord dell’isola, dista circa 70 chilometri dall’aeroporto che invece è a sud; non facciamo riferimento ai tempi di percorrenza tra le due località perché l’intenso traffico rende tutto sempre molto imprevedibile.
Non è ancora possibile confrontare il parterre di partecipanti al Tour de Maurice con quello delle gare europee, ma siamo convinti che fra qualche anno lo sarà, lo auspichiamo.
C’è un aspetto, però, che accomuna il Tour de Maurice alle più grandi gare europee e mondiali del calendario UCI: la volontà di tutti i membri dello staff organizzativo di rendere al massimo delle possibilità per proporre un evento interessante che emozioni che rimanga nei ricordi di chi lo ha corso, raccontato, vissuto.
Calato il sipario sul Tour de Maurice non si spengono però i riflettori sul ciclismo a Mauritius: domani infatti nell’isola si svolgerà la Courts Mamouth Classique de l'Ile Maurice, una corsa di classe 1.2 che ricalcherà in parte il percorso della tappa vinta venerdì da Rostovtsev.
Un altro modo che i mauriziani hanno per dimostrare che, grazie al ciclismo, le distanze si possono ridurre e anche gli abitanti di una piccola isola dell’Oceano Indiano, possono sognare in grande, possono sognare un Grande Giro.
foto dai social della corsa
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