Caro direttore, tre anni fa ci lasciava Giancarlo Ceruti. Ricordare un amico non è un esercizio personale, ma un sentimento collettivo e condiviso da tanti appassionati del nostro sport che manifestano il loro ricordo con modalità e maniere diverse. Provare a mettere a disposizione analisi e riflessioni che in tanti avete condiviso con Giancarlo, dopo averle sperimentate nei vostri percorsi esperienziali, significa dare un contributo concreto al nostro sport preferito!
1) Il tema della migrazione dei giovani atleti dalle regioni con minore attività ciclistica verso quelle a maggiore intensità. Le recenti normative in tema di svincolo dei giovani atleti e l’abolizione delle squadre plurime ci fanno porre l’attenzione sul rinnovato ruolo della dirigenza federale, eletta sia a livello provinciale che regionale, la quale dovrebbero impiegare molte delle proprie energie per dare impulso a nuove compagini societarie in grado nel tempo di trattenere i promettenti atleti nei luoghi di vita abituale.
Non bastano delibere, norme tecniche e regolamenti, facilmente superabili con nuove prassi e interpretazioni comportamentali, ma occorre dare spinta e supporto ad emergenti e innovative associazioni sportive in grado di colmare i gap che in tante aree del Nostro Paese si sono creati per innumerevoli ragioni. Lo sport in generale ed il ciclismo in particolare sono formidabili strumenti di coesione sociale, di trasmissione valoriale e di attrattività territoriale. Per questo i dirigenti dei comitati provinciali e regionali dovrebbero farsi interpreti di azioni di politica sportiva in grado di dare risposte ai bisogni dei territori che rappresentano, tralasciando i personalismi che troppo spesso pervadono la vita sportiva.
Scuola, Famiglia e Società Sportive sono i tre pilastri per la crescita dei giovani nel nuovo ordinamento sportivo.Il venir meno della competitività territoriale e regionale porta ad un indebolimento del radicamento dell’attività ciclistica, concentrando lo svolgimento della pratica sportiva solamente in poche regioni.
Il paradosso è che là dove si registrano le maggiori criticità, maggiore sarà il grado potenziale di crescita, da sviluppare, per far nascere nuove società sportive dedite all’uso della bicicletta.
Sui bassi numeri la statistica ci dà altissimi risultati di crescita nell’immediato, ma il cammino virtuoso comporta tempi lunghi, spesso che vanno oltre il mandato sportivo della dirigenza in carica.
2) Non estranea al primo tema è la individuazione di giovani dirigenti sportivi che cessano l’attività agonistica. La formazione dei dirigenti delle società di base è principalmente una esperienza di campo! Bisogna che ognuno di noi porti con sé un suo ex atleta o un giovane appassionato, lo accolga, lo sostenga permettendogli di vedere e sperimentare nel quotidiano gli aspetti di gestione e organizzazione dell’attività ciclistica. Il mondo scolastico e della formazione è cresciuto enormemente per i nostri giovani, ma l’esperienza sul campo ad allenamenti e gare, oggi ricopre un peso determinante nel processo di crescita e accompagnamento dei futuri dirigenti.
3) L’abbandono di atleti promettenti dii fronte alle difficoltà del professionismo. Il miraggio del professionismo italiano con poche risorse e tanti sacrifici per gli atleti. La consapevolezza degli atleti di aver dato troppo nelle categorie inferiori. Il tema dei risultati immediati nelle categorie giovanili a discapito della crescita del ragazzo nel lungo periodo.
Sono trascorsi circa vent’anni quando l’amico Giancarlo, da presidente federale e da formatore ante litteram, raccontava che il ciclismo professionistico in Italia sarebbe finito. Lo diceva negli anni in cui il ciclismo italiano era nella fase più rilevante dal punto di vista quantitativo, con ben otto squadre nel massimo circuito mondiale.
L’uomo in quegli anni intuiva le variabili che avrebbero portato ad un inesorabile cambiamento, da sport popolare a sport per elite mondiali. In molti non comprendevamo che cosa ci volesse spiegare, e spesso anche io quando lo ascoltavo mi chiedevo quale orizzonte lui stesse scrutando.
Orizzonti sociologici, economici, culturali, di etica e sicurezza nel nostro amato ciclismo che solo lui, in quegli anni, cercava di indagare per fare analisi che spesso portavano ad esiti non rassicuranti e deludenti.Eppure grandi opportunità si sono aperte per i giovani ciclisti. Un under 23 al primo anno oggi, nelle squadre continental, ha la possibilità di cimentarsi in gare al fianco di proessionisti esperti e affermati, senza dimenticare che l’obiettivo primario deve rimanere la crescita dell’atleta, viatico per consentire al ciclismo italiano di tornare a crescere.
Forse è giunto il momento di una analisi del mondo sportivo anche in chiave europea per consentire regole finanziarie e sociali uniformi tra gli stati membri del nostro continente che sicuramente rappresenta lo zoccolo duro del movimento mondiale delle due ruote.
Vanno riviste la fiscalità degli sportivi, la domiciliazione dei medesimi nei paradisi fiscali, le agevolazioni da concedere alle aziende che sponsorizzano e creano percorsi di condivisione con i giovani atleti per creare politiche del lavoro integrate e radicate nei territori di appartenenza.
Corrado Lodi