Ci sono ciclisti che corrono per inseguire il sogno di una vita, ed altri che corrono per portare a casa lo stipendio divertendosi nel praticare uno degli sport più faticosi. Walter Brugna amava la bicicletta fin da ragazzo, era veloce e vinceva molto nelle categorie dilettantistiche, poi a 22 anni decise che era arrivato il momento di portare a casa uno stipendio e mettere su famiglia con la sua Clara. Passare professionista e riscuotere uno stipendio era dura allora come oggi se non si è un fuoriclasse e lui ci riuscì grazie all'apparentamento della Remac di Mario Cioli con Fanini. Era il l 1987, Fanini lo accolse come fa un padre di famiglia con i suoi figli e gli consentì di vincere sia su strada che su pista
«Trovai a Lucca - dice l'ex campione di Rivolta d'Adda - l'ambiente giusto per sfondare. Ero veramente felice: vinsi 4 tappe al Sun Tour, 5 al Giro dell'Argentina ed una al Giro del Michigan. Una vera e propria esplosione. A quei tempi le squadre di Fanini erano le uniche in Italia che andavano a correre oltre Oceano».
Cominciò anche a guadagnare i primi stipendi...
«A quei tempi il minimo di stipendio era di 28 milioni di lire l'anno, un grande uomo come Ivano Faninime ne dava 36. Devo dire che rapportati a quanto guadagnano i corridori di oggi erano niente però a quei tempi era uno stipendio dignitoso. Vincevo tanto e provai fortunatamente la pista. Mi specializzai nel mezzofondo ed il primo grande risultato lo ottenni nel 1988, arrivando secondo ai campionati italiani dietro Giovanni Renosto».
A Gand la prima medaglia mondiale.
«Sì. Giunsi terzo e quel bronzo mi diede una dimensione internazionale. A vincere fu l'australiano Danny Clark, secondo il belga Constant Tourné e terzo io. La seconda medaglia la conquistai nell'89 a Lione, ancora secondo alle spalle di Renosto. Era il preludio ad una costante crescita di risultati che mi fecero appassionare enormemente alla specialità degli stayer. Diventai uno specialista curando ogni minimo particolare delle mie biciclette Fanini preparate meticolosamente dell'indimenticabile Michele, bici con la forcella al contrario io spingevo rapporti pazzeschi. A livello di meccanica studiavo la ruota anteriore che doveva essere più piccola per sfruttare meglio la scia della moto. Da ragazzo mai avrei pensato di ottenere grandi risultati in questa disciplina sportiva».
Con il pool del c.t. Mario Valentini, arriva nel 90 il suo grande momento...
«Stavo veramente bene. Speravo nel titolo ma la concorrenza era molto qualificata. Il c.t. era Mario Valentini ma io ero allenato da Taddeo Grifoni prematuramente scomparso qualche mese prima della finale mondiale di Maebashi. Allora Mario Valentini per allenarmi mi affidò a suo figlio Mauro: era più giovane di me ma riuscimmo a trovare un feeling fra moto e bicicletta e la nostra intesa si rivelò produttiva. Purtroppo anche lui è scomparso lo scorso anno nel mese di febbraio all'età di soli 50 anni. Arrivai in Giappone deciso a vincere quel titolo: dovevo farlo per ufficializzare il mio amore per Clara, la donna della mia vita, pensavo a lei e al nostro matrimonio. Per riuscirci avevo però bisogno di soldi perché ce ne vogliono tanti per sposarsi. Non ci crederete ma Ivano Fanini su un biglietto da visita della sua concessionaria mi scrisse qualche riga promettendomi 20 milioni di lire in caso di vittoria. Non era un contratto ma una promessa. Facendo qualche calcolo, fra il premio della Federazione che però andava diviso fra tutti i componenti la nazionale e la promessa di Fanini sarei riuscito a realizzare il mio sogno che era sicuramente più importante dello stesso titolo di campione del mondo. Rimasi colpito dal Velodromo, al chiuso, riscaldato, con aria condizionata ed una superficie scorrevole per medie molto alte. Nelle tre batterie in programma i primi tre di ognuna passavano in finale. Portai a termine un'ora di gara più cinque giri di pista alla media di 68 kmh, diventando campione del mondo: siamo partiti subito in testa e devo ringraziare la grande collaborazione di Renosto, colui che mi aveva sempre battuto nelle gare più importanti, e di Bielli che furono per me fondamentali. Un titolo che dedicai subito a Ivano Fanini ed alla mia futura moglie Clara».
I mondiali di mezzofondo su pista si sono svolti fino al 1994: dispiace che una disciplina antica come il Mezzofondo della pista non abbia più, per i costi ingenti del personale addetto, il campionato del mondo. Era un titolo storico, la prima edizione del mondiale si svolse nel 1895, molto prima dei mondiali su strada che ebbero origine nel 1927.
Ma Fanini la mantenne la promessa?
«Certo, altrimenti come mi sarei potuto sposare? Ricordo come fosse ieri che ci ritrovammo nella sua villa di Lucca e mi diede tre assegni: grazie a quei soldi ed al premio della Federazione raggiunsi il mio scopo. Ivano Fanini è sempre stato un vulcano: ha ottenuto il massimo con piccole risorse economiche. E' uno che si è fatto da sé, arrivando a grandi livelli con la passione e la competenza oltre all'astuzia a livello commerciale».
All'indomani del titolo mondiale conquistato, al suo ritorno all'aeroporto di Linate Walter fu accolto in maniera trionfale. Un'auto scoperta lo attendeva per trasportarlo fino a Rivolta d'Adda, suo paese natio ed attuale dove risiede tuttora. In piazza Vittorio Emanuele fu allestito un ricevimento caloroso dai suoi numerosi concittadini e tifosi. Fu allestito un palco ed organizzata una festa con tanto di banda e majorette alla presenza delle principali autorità cittadine fra le quali il sindaco.
«Fra le majorette - ricorda con grande soddisfazione Brugna - c'era anche mia moglie Clara. A pensarci adesso mi viene ancora la pelle d'oca perché un'accoglienza così non me la sarei mai aspettata. I miei amici furono molto bravi a mantenere il segreto per farmi la sorpresa. Allora veramente pensai che avevo ottenuto un successo molto importante. Più in quel momento di quando tagliai vittorioso il traguardo».
Solitamente un neo professionista rimaneva con Fanini da uno a tre anni prima di spiccare il volo verso le più forti squadre. Invece Brugna è stato uno delle poche eccezioni rimanendo con il dirigente toscano per cinque stagioni, le sue uniche da professionista.
«Quando sono arrivati i risultati ho intensificato gli impegni con la pista anche se mi sono pure tolto qualche soddisfazione anche con la strada. Nella mia ultima stagione da professionista nel 1991 con Amore e Vita vinsi seconda, sesta e nona tappa al Giro dell'Argentina e a fine stagione attaccai la bicicletta al chiodo In pista non avevo più i migliori tempi e difficilmente mi sarei ripetuto a livello mondiale. Poi, una volta sposato, sentivo il desiderio di stare di più a casa. Fanini cercò di convincermi a correre almeno un altro anno, ma in me prevalse la scelta della famiglia e di una vita normale senza più le lunghe trasferte. Oggi a 57 anni vado verso la pensione. Io e Clara abbiamo due figli con Alessio che ha corso fino allo scorso anno indossando anche maglie importanti come quelle della Zalf Euromobil e della MG K Vis, ha vinto tre corse nelle ultime stagioni ma ha preferito anche lui attaccare la bicicletta al chiodo per inseguire uno stipendio. Io continuo a lavorare per un'azienda lombarda come autista. Sono felice così e non ho rimpianti. Il ciclismo e Fanini rimangono una parentesi molto positiva della mia vita».
da La Gazzetta di Lucca
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