Si rivelò in uno spettacolo di vaudeville: “Durante la pausa per far rifiatare gli artisti, era apparso improvvisamente sul palco un negretto in bicicletta. Aveva indosso una divisa blu dell’Unione e, in sella, faceva dei giochetti straordinari. Disteso sulla canna a pancia in su, pedalava con le mani e guidava la bicicletta con i piedi. Poi alzava la ruota davanti e rimaneva immobile”.
Si convinse in una gara in cui avrebbe dovuto e potuto (ma non voluto) ritirarsi poco dopo la partenza: “Prese subito a pedalare come un forsennato. Pareva che lo sparo dello starter gli avesse acceso un fuoco nelle viscere”, “Passò la riga per primo e poi si lasciò andare, fino a che i pedali terminarono di girare. Quando la bici si fermò, la fece scivolare giù tra le gambe e si accoccolò per terra, sfinito”.
Convinse tutti in una corsa – sarebbe stata l’unica – in salita: “Quando si lanciò nell’impresa, la gente spalancò la bocca dallo stupore. Lo videro salire con una forza che nessuno aveva mai visto. Raggiunse la cima in un baleno”, “Dopo un quarto d’ora riattaccò la collina e, ancora una volta, tutti rimasero attoniti nel vederlo salire con così tanta potenza. Ad alcuni parve addirittura che la sua spinta provocasse lo slittamento della ruota posteriore”.
Si laureò campione americano di velocità: “Durante il giro conclusivo, sul penultimo rettilineo, uscì dalla scia di Kramer e superò entrambi gli avversari con una velocità, scrissero i giornali, ‘che pareva che gli altri due fossero fermi’. Piombò sulla dirittura finale con mezza bicicletta di vantaggio”. E si sarebbe laureato anche campione del mondo. Il primo nero campione del mondo di ciclismo.
Marco Ballestracci ha scritto “Black Boy Fly” (alvento-Mulatero, 208 pagine, 17 euro), la storia di “Major” Taylor dal niente all’oro, dalla polvere all’altare, da figlio di schiavi al ciclista non solo più veloce ma anche più pagato al mondo, da quell’apparizione allo spettacolo di vaudeville fino al momento in cui, in piedi, sotto il ponte coperto, a bordo di un transatlantico, e allo zenith della carriera, lasciava il porto di New York per gareggiare e guadagnare nei velodromi europei e australiani. “L’irresistibile ascesa”, sottolinea Ballestracci, nonostante razzismo e segregazionismo, boicottaggi e coalizioni, minacce e scorrettezze.
E’, il romanzo della vita di Taylor, un altro spettacolo di vaudeville. Tra blues (“Salì sul treno che da Indianapolis lo conduceva al Reading Terminal di Philadelphia. Aveva trascorso il giorno prima a consolare la madre”) e gospel (“Solo lì potrà sfruttare appieno i copiosi talenti che Nostro Signore gli ha consegnato. Solo in Massachusetts potrà diventare davvero ‘il ragazzo nero che vola’”), tra luci della ribalta (“Il Madison Square Garden era proprio come il Circo Barnum, solo che era costruito interamente in muratura. Dentro, però, ci si doveva divertire allo stesso modo”) e sfoghi dietro le quinte (“Lei non può saperlo, ma per i negri, qui ci chiamate ancora così, non ci sono né il passato – è troppo brutto per ricordarlo – né il futuro. L’unica cosa che esiste, per i negri, è il presente”).
E c’è il ciclismo. Il ciclismo su pista. Quegli anelli infuocati dalla velocità, con la loro ebbrezza e i loro pericoli. Quella parrocchia animata dagli spettatori, con il suo fumo e le sue scommesse. Quei dialoghi che sanno di letteratura hard boiled: “Henry Stewart non è venuto da Saint Louis per farsi fregare da uno di quindici anni. Piuttosto si fa ammazzare a revolverate”, “Qui a New York, anche se ti perdi, basta che guardi in aria, perché la torre del Madison la vedi da qualsiasi parte della città”, “Il Signore ci ha mandato un segno dal cielo. Oggi ho visto un giovane nero parlare da pari a pari con un bianco”, “Hai mai sentito di qualche negro che conosce la sua vera età? Quelli vengono al mondo a occhio”, “Sì, sì, può averne ventidue o ventitrè di anni, ma sembra sparato da un fucile”.
Sembra invece soffiare nell’armonica, Ballestracci. Il suo “Black Boy Fly” può essere letto come una favola moderna o un poema epico, ma anche ascoltato come una ballata e immaginato come un film. Bello, no?
(fine della terza puntata – fine)
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